Nel discorso al Meeting di Rimini Mario Monti ha voluto esplicitare la sua filosofia di governo. Da un lato sono apprezzabili la consistenza morale e un modo di pensare la missione politica con un forte carico di autotrascendenza. Inoltre, chi scrive si fida molto delle capacità di Monti in politica estera ed europea e raccomanda di dargli il massimo consenso per la difficilissima situazione: tra poche settimane dovrà ottenere l’aiuto della Bce per ridurre il costo di rifinanziamento del debito italiano e allo stesso tempo evitare un commissariamento troppo condizionante della politica economica nazionale. Ma tali apprezzamenti non devono nascondere l’errore devastante che ha commesso e di cui sembra non accorgersi.



Dopo un anno di applicazione della repressione fiscale, avviata da Tremonti, ma inasprita da Monti, se ne possono valutare i risultati: almeno metà della recessione è dovuta all’effetto paura che ha ridotto i consumi interni. La caduta del Pil in un anno è stata superiore al 2% e, pertanto, si può stimare in 15-20 miliardi il costo di questa strategia che fa leva sul terrore per aumentare il gettito fiscale. Cosa ha ottenuto il governo? Solo un po’ di entrate in più al costo della distruzione di interi settori. Per esempio, la nautica, che in Italia è settore rilevante, è totalmente in crisi. La gente non compra più barche per timore di entrare nel redditometro e il turismo nautico diserta i mari italiani. Più di centomila lavoratori impegnati nel settore e in quelli turistici connessi non hanno più domanda. La tassazione sugli immobili ha contribuito a congelare il mercato specifico.



In generale, i consumatori italiani evitano tutti gli acquisti che possono dare loro un punteggio elevato nel redditometro, fenomeno che deprime non solo il settore del lusso e il milione circa di lavoratori che lo produce, ma sta anche riducendo i consumi normali. Non è facile separare nelle analisi l’effetto indotto dal terrore fiscale, quello della paura di peggioramenti economici nel futuro che aumenta la propensione al risparmio e riduce quella ai consumi e l’effettiva riduzione della capacità di spesa dovuta all’aumento dei costi sistemici (tasse indirette e tariffe). Ma è certo che la grave recessione italiana è stata amplificata dalla politica economica dei governi succedutisi nell’ultimo anno e, in particolare, dalla strategia di pareggiare i conti pubblici aumentando le tasse invece che tagliando spesa.



Da un lato, i governi hanno agito così perché pressati dalla crisi del debito. Dall’altro, per gestire quella crisi ne hanno generato un’altra più grave. Ma è ancora riparabile. Invece di intensificare il terrore fiscale Monti dovrebbe avere il coraggio e la lucidità tecnica di imporre un taglio alla spesa per almeno 100 miliardi (in due anni) e le tasse per circa 70, lasciandone 30 di margine per la riduzione del debito e pareggiare il bilancio. Senza un’azione del genere, infatti, la continuazione della pressione e repressione fiscali attuali porteranno l’economia italiana verso una spirale depressiva difficilmente invertibile.

I dati mostrano un pericolo tale da giustificare una rivolta fiscale per salvare la nazione se il governo non cambierà metodo. Spero che Monti lo capisca e ripari in tempo.

 

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