Dilettanti allo sbaraglio. «L’articolo di stampa su un progetto della Bce per introdurre un tetto massimo agli spread di paesi dell’eurozona in difficoltà può indurre in errore. E’ assolutamente fuorviante riferire su decisioni che non sono ancora state adottate e anche sulle posizioni individuali che non sono ancora state discusse dal Consiglio direttivo della Bce. Sulla base delle preoccupazioni sollevate da recenti comunicati delle autorità di governo è anche sbagliato speculare, immaginando futuri interventi della Bce. La politica monetaria è indipendente e viene strettamente presa sulla base del mandato della Bce».
Così un imbarazzato portavoce dell’Eurotower ha cercato di placare le critiche suscitate dalle indiscrezioni pubblicate domenica dal settimanale tedesco Der Spiegel, a detta del quale l’Istituto di Francoforte vorrebbe definire dei limiti al differenziale tra i tassi dei titoli di Stato della Germania con quelli degli altri Paesi, in base ai quali intervenire sui mercati acquistando titoli per evitare speculazioni. Insomma, pianificazione in salsa sovietica del mercato obbligazionario sovrano. Non a caso, ieri mattina la Bundesbank aveva detto chiaro e tondo che «il piano Bce per l’acquisto di titoli di Stato potrebbe comportare rischi significativi» e che la Bce non dovrebbe assumere ulteriori rischi a scapito del proprio bilancio, visto che già opera con leva 1 a 26 e ha qualche decina di miliardi di carta da parati sovrana in pancia.
Di più, il portavoce del ministero delle Finanze tedesco ha definito inoltre «problematica da un punto di vista teorico» l’ipotesi della definizione di un tetto allo spread al di là del quale scatterebbe l’intervento da parte della Bce. Insomma, un pasticcio in piena regola che però non ha impattato sullo spread, ieri ancora in stand-by nonostante questa dimostrazione di pressapochismo da parte della Bce e di oltranzismo della Bundesbank.
Il perché è presto detto: la parola d’ordine, sui mercati, è attendere. E, nel frattempo, posizionarsi short sul Bund, in attesa che il contagio colpisca in pieno la Germania. Oppure che Berlino stacchi la spina all’eurozona, nel tentativo di cautelarsi dal tracollo finale. Anche perché, al netto dell’ottimismo profuso da Mario Monti e Corrado Passera al Meeting di Rimini, con ogni probabilità la luce che vedono in fondo al tunnel è quella di un treno che sta per travolgerci. E non per colpa nostra, ma per l’abbraccio mortale che lega il nostro destino a quello della Spagna. Basta essere realisti: la Bce, per quanto cerchi di intorbidire le acque, può fare poco o nulla in realtà. Il fondo Efsf ha in pancia solo 65 miliardi residui utilizzabili, l’Esm non nascerà prima di metà settembre, la Spagna non ha ancora visto un euro dei 100 miliardi stanziati per ricapitalizzare le sue banche e la seconda metà del 2012 si prospetta strapiena di rischi per Madrid.
A partire da oggi, quando il Tesoro spagnolo tornerà alla prova dei mercati con un’asta in cui spera di collocare fra i 3,5 e i 4,5 miliardi di bonds a 12 e 18 mesi. Nella precedente asta di titoli a un anno e un anno e mezzo, realizzata lo scorso 17 luglio, l’organismo pubblico è riuscito a superare l’allora massimo previsto, con 3,561 miliardi di euro, con interessi rispettivamente del 3,99% e del 4,35%. Il Tesoro ha già collocato il 72,2% (62,016 miliardi di euro) delle emissioni previste per il debito a lungo termine in tutto l’esercizio (85,9 miliardi di euro), con un costo medio di interessi al 31 luglio scorso, del 3,43%, al di sotto del 3,9% con cui si è chiuso il 2011. E se per il 28 agosto è prevista una nuova asta per i bills a 3 e a 6 mesi, le emissioni lorde di debito spagnolo per il resto dell’anno in corso sono stimate in 8 miliardi al mese, il che significa o un’emissione monstre ogni trenta giorni o due da 4-6 miliardi, un qualcosa che porterebbe con sé una pressione spaventosa sul mercato. Il problema è che se la Spagna giungerà a un aggiustamento delle necessità di prestito netto, la quota mensile da emettere salirà a 13 miliardi: ingestibile, totalmente ingestibile. In tal senso, l’asta di Bonos a 10 anni prevista per il 6 settembre prossimo sarà un vero e proprio banco di prova.
Sempre in settembre, poi, Moody’s completerà la sua revisione del rating di credito della Spagna: con un downgrade di più gradini, i bonds spagnoli rischiano una vera e propria sell-off da parte dei money-market funds, soprattutto quelli asiatici che hanno nello statuto l’impossibilità di detenere obbligazioni sotto l’investment grade. Inoltre, sempre il mese prossimo saranno resi noti i risultati degli stress test sugli istituti bancari iberici, a ridosso dell’Eurogruppo e dell’Ecofin già fissati per il 14 e 15 settembre e della sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità del fondo Esm.
I mercati, quindi, entro ottobre attendono fatti e non più proclami: con la Germania nettamente contraria, cosa potranno ottenere gli altri governi e la Bce? Ma siamo ottimisti: Madrid passerà indenne questo test e completerà il rifinanziamento del suo debito per il 2012. E l’anno prossimo? Bene, l’ammontare totale di emissioni lorde spagnole per il 2013 è di 120 miliardi di euro, il 40% in più rispetto a quest’anno, il 20% in più del 2009 e quattro volte quanto emesso mediamente nei quattro anni precedenti. Questo, poi, al netto di prestiti ormai inesigibili per le banche spagnole saliti al massimo di tutti i tempi, con un livello di crescita mai visto negli ultimi tre anni.
Inoltre, anche un altro dato – ignorato da tutti i grandi media – ci fa capire che qualcosa sta scricchiolando. La linea di swap tra Bce e Fed di New York per il finanziamento in dollari a sette giorni, alla fine della scorsa settimana ha toccato la cifra di 9,3 miliardi di dollari, la più alta dal 9 dicembre 2009. Sono state dieci le banche europee a sfruttare la linea di swap della Bce, sintomo che in Europa dieci istituti avevano di-spe-ra-ta-men-te necessità di finanziarsi in dollari a tempo di record e a qualsiasi costo per avere ossigeno per altri dieci giorni e raggiungere il traguardo di settembre, alla faccia della panzana del Libor e dei proclami di assoluta salute delle banche del Vecchio continente.
Mi spiace dirlo, ma i destini di Germania e soci e quelli della cosiddetta Europa periferica devono dividersi, il prima possibile e il meno traumaticamente possibile. Non si può più andare avanti così, con Berlino che difende giustamente i suoi interessi (e privilegi) e il resto d’Europa che paga le conseguenze di questo atteggiamento, non senza colpe. Si accompagni la Grecia fuori dall’euro dotandola di una nuova moneta legata da un peg fisso alla valuta unica dei Paesi periferici, si passi quindi a un euro a due velocità, mantenendo l’Unione per quanto riguardo l’attività commerciale e l’area di libero scambio, ma basta con la logica del one-size-fits-all che ha portato un intero continente in recessione piena e sull’orlo della bancarotta. Poi, con l’euro2 svalutato rispetto a quello core dei Paesi forti, vedremo chi sfrutterà il turbo dell’export… A quel punto sì, si vedrà la luce alla fine dell’eurotunnel.