È di pochi giorni fa la notizia che il Chicago Mercantile Exchange (Cme), il più grande mercato finanziario per capitalizzazione del mondo, ha deciso di aprire una nuova sede operativa a Londra per lo scambio di derivati. La nuova “Borsa dei derivati” farà da concorrente ai rivali Deutsche Borse e Nyse Euronext. Ilsussidiario.net ha intervistato Nicol Degli Innocenti, corrispondente dalla City per il Sole 24 Ore e attenta osservatrice delle dinamiche dei mercati finanziari, per chiederle che cosa comporterà la nuova apertura cercando di capire quali sono i rischi e quali invece le esternalità positive che un simile evento comporta. Degli Innocenti è certa che essa rappresenta “un vantaggio per Londra, che conferma il suo status di centro finanziario europeo, e anche per l’Europa, che conferma la sua centralità e importanza, anche per chi vuole operare sia con l’Asia che con gli Stati Uniti”. E sul momento politico negativo che la City sta attraversando dice: “Il Governo britannico è abbastanza ondivago: da un lato condanna le banche e critica i loro eccessi per essere in linea con l’opinione pubblica, dall’altro vuole a tutti i costi tutelare il ruolo di centro finanziario d’Europa di Londra e non eccedere con la regolamentazione”. Ma proprio sulla regolamentazione, mentre gli Usa hanno adottato il Dodd-Frank Act, Bruxelles e Londra devono ancora far sapere come sono intenzionate a muoversi per fissare paletti ai rischi della finanza speculativa. Il dialogo con Degli Innocenti è stato anche occasione per chiedere cosa pensano gli inglesi della crisi dell’eurozona.



Il Cme ha annunciato il piano per aprire una “Borsa dei derivati” a Londra. Può spiegarci in parole semplici di cosa si tratta?

Il Chicago Mercantile Exchange, che è il maggiore mercato al mondo per capitalizzazione, ha scelto Londra come sede di una nuova Borsa dei derivati. È scontato che la Financial Services Authority dia il necessario permesso e si prevede che il nuovo Exchange aprirà a metà 2013. Si tratta di una piattaforma sulla quale verranno scambiati i derivati, cioè strumenti finanziari il cui valore deriva dal prezzo dell’attività sottostante, che può essere un titolo, un tasso di cambio o un indice, oppure “reale” come oro o petrolio. È un mercato in forte crescita e il Cme è il peso massimo mondiale: lo scorso anno ha gestito 3,4 miliardi di scambi.



Cosa cambierà per i cittadini europei? Quali sono i vantaggi e quali i rischi?

Per i cittadini che sono anche investitori rappresenta una possibilità in più. Negli ultimi anni di crisi delle Borse con i titoli in picchiata le piattaforme di derivati hanno registrato una forte crescita. La decisione del Cme rappresenta un vantaggio per Londra, che conferma il suo status di centro finanziario europeo, e anche per l’Europa, che conferma la sua centralità e importanza, anche per chi vuole operare sia con l’Asia che con gli Stati Uniti. Ed è positivo il fatto che ci sarà maggiore concorrenza nel settore, finora in Europa dominato da due megagruppi, Deutsche Borse con Eurex e Nyse Euronext con Liffe.



E i rischi? La crisi finanziaria non ha avuto origine da un uso sconsiderato degli strumenti derivati? Non dobbiamo preoccuparci nemmeno un po’?

Dallo scoppio della crisi finanziaria a oggi è passata molta acqua sotto i ponti. Innanzitutto sono cambiate le regole e c’è molta più supervisione e trasparenza. Proprio per evitare problemi le autorità stanno spingendo da tempo per una gestione dei derivati sugli “Exchange”, che sono regolamentati e alla luce del sole. Detto questo, restano grandi differenze tra gli Stati Uniti, l’Europa e la Gran Bretagna su questo fronte. Gli Usa hanno approvato il Dodd-Frank Act che introduce regole severe, mentre il mese prossimo Bruxelles discuterà un progetto di direttiva sul mercato dei derivati. Quanto a Londra, è sempre più decisa a seguire la propria strada lontano da Bruxelles: senz’altro dietro la decisione di Cme c’è anche la speranza di essere soggetti a meno scrutinio che altrove.

L’apertura di una Borsa dei derivati deve esser vista come un tentativo buono della finanza di darsi regole da sé o è il preannunciarsi di nuovi pericoli legati alla finanza speculativa?

Nessuno dei due. Nessuno crede più che la finanza possa autoregolamentarsi senza controlli esterni, ma la nuova Borsa dovrà rispettare le nuove regole e quindi non presenterà problemi aggiuntivi o nuovi pericoli. Sarà interessante vedere nei prossimi mesi quanto simili o quanto diverse le regole Ue e britanniche saranno dalle rigide norme già approvate negli Usa.

 

Lo scandalo sul Libor “taroccato”, l’accusa di riciclaggio nei confronti di Standrad Chartered e le difficoltà di privatizzare Rbs… Non sembra che la finanza Inglese se la passi troppo bene in questi tempi. Che momento politico sta attraversando la City?

 

La City sta passando un momento decisamente poco felice. Gli ultimi anni hanno portato la tempesta finanziaria, il crollo delle Borse, un’ondata di licenziamenti, un giro di vite sul fronte della regolamentazione e ora lo scandalo Libor che è solo agli inizi. Il Governo britannico è abbastanza ondivago: da un lato condanna le banche e critica i loro eccessi per essere in linea con l’opinione pubblica, dall’altro vuole a tutti i costi tutelare il ruolo di centro finanziario d’Europa di Londra e non eccedere con la regolamentazione, anche a costo di scontrarsi (ancora una volta) con Bruxelles.

 

Come è vista la crisi dell’euozona dalla City?

 

Con un atteggiamento abbastanza saccente del tipo “ve lo avevamo detto noi”. La Gran Bretagna non è mai stata così soddisfatta di se stessa e della decisione di non entrare nell’euro. I problemi dell’eurozona, secondo Londra, rivendicano in pieno gli avvertimenti britannici sui rischi di un’unione monetaria tra Paesi così diversi. La maggior parte degli economisti è convinta che sia solo questione di tempo prima di un’uscita della Grecia dall’euro, seguita forse da altri Paesi. La crisi dell’euro ha anche archiviato definitivamente ogni tentativo dei pochi laburisti europeisti, come l’ex premier Tony Blair, di rilanciare il possibile ingresso futuro di Londra.

 

Vedendo i mali compiuti dalla finanza negli ultimi anni, molta gente potrebbe pensare che la City è il regno della finanza speculativa? È così o c’è di più?

Non è così. Gli scandali hanno sicuramente rivelato un lato oscuro e negativo della finanza speculativa, ma la City non è solo questo. La grandissima maggioranza delle migliaia di persone che ci lavorano non si sognerebbe mai di fare scommesse azzardate “alla Ubs”. In realtà la City è il regno di centinaia di banche, compagnie di assicurazione, istituti di ricerca, hedge fund eccetera che danno lavoro a molte persone e che portano molta ricchezza a Londra. Certo la reputazione della City ha subito un duro colpo e ci vorrà tempo per riparare i danni fatti.

 

Benedetto XVI con l’enciclica Caritas in veritate ha detto che la crisi ha origini etiche, culturali, non soltanto tecniche. E accusando l’“ethos efficientista” di un certo modo di fare finanza invitava ad allargare la ragione. Sono osservazioni ancora attuali?

 

Senz’altro lo sono e ai banchieri farebbe molto bene leggere le parole del Papa, anche se dubito che lo facciano. All’origine della crisi finanziaria e degli scandali più recenti come quello sul Libor c’è sicuramente una ricerca ossessiva del profitto personale senza mai fermarsi a prendere in considerazione la dimensione etica o le conseguenze per gli altri. La crisi ha dimostrato il lato debole del capitalismo selvaggio, che porta a un individualismo esasperato che finisce per avere conseguenze negative per la società. Le azioni dei vari traders non hanno solo danneggiato la società, i risparmiatori o i rivali ma le stesse banche per cui lavoravano. Come Saturno, un capitalismo privo di una dimensione etica diventa un mostro che divora i propri figli.

 

(Matteo Rigamonti)