Sta per iniziare una serie di incontri bilaterali (Merkel-Hollande oggi giovedì 23 agosto, Merkel-Samaras domani venerdì 24, Hollande-Samaras sabato 25, per citare i principali e imminenti). Il loro obiettivo è di preparare la consueta riunione dell’Ecofin all’inizio di settembre che, ogni anno, tenta (non sempre con grande successo) di forgiare la posizione europea per l’assemblea annuale di Banca Mondiale e di Fondo monetario internazionale in calendario all’inizio di ottobre a Tokyo (si sarebbe dovuto svolgere al Cairo, ma ragioni di sicurezza hanno indotto, all’inizio di giugno, a spostare la sede dell’appuntamento).
Pochi hanno notato che, mentre in passato queste riunioni bilaterali si svolgevano a livello dei Ministri dell’Economia e delle Finanze, in questi ultimi giorni di agosto, sono i Capi di Governo a scendere in campo. Una chiara indicazione che all’Ecofin in calendario il 14-15 settembre a Nicosia (Cipro presiede l’UE in questo semestre) i Ministri dovranno operare su binari già ben definiti. La carne al fuoco è moltissima: dalla crisi economica e finanziaria dell’eurozona alla possibilità (ammessa dal Presidente dell’Eurogruppo) che la Grecia lasci (o venga invitata a lasciare) l’unione monetaria), dal futuro del fondo salva-Stati (una prima pronuncia della Corte Costituzionale tedesca è attesa per il 12 settembre, proprio alla vigilia dell’Ecofin visto che i Ministri arrivano a Nicosia nel pomeriggio del 13) all’eventuale richiesta di aiuti all’Ue da parte della Spagna (e forse anche dell’Italia). Tra tanti temi e tante dichiarazioni, spesso contraddittorie, di leader europei grandi e piccoli, non è facile trovare un filo che consenta di tracciare prospettive.
A mio avviso, ce n’è uno su cui, specialmente in Italia, si sta dando meno attenzione di quanto meriterebbe: il probabile ridimensionamento della Banca centrale europea (Bce) tanto nella soluzione (se ci sarà) della crisi quanto, soprattutto, nel futuro dell’unione monetaria (nelle forme che assumerà). Non si tratta di dare credito all’insofferenza nei confronti della Bce (e del suo attuale Presidente, Mario Draghi) da parte di molti politici europei (non solo tedeschi), anche se le frasi di Draghi sull’irreversibilità dell’euro non hanno avuto alcun seguito (in quanto, nei fatti, sconfessate dal Consiglio della Banca, ossia dal più alto organo di governo dell’istituzione). Le ragioni sono più profonde e riguardano sia il breve che il lungo termine.
Nel breve periodo, l’elevazione del tavolo della trattativa europea dai Ministri ai Capi di Governo restringe indubbiamente il ruolo di un’istituzione disegnata per essere essenzialmente il perno tecnico del Sistema europeo di banche centrali (Sebc). Sempre nel breve periodo, se i Capi di Governo (e i loro Ministri) non sono in grado di trovare il bandolo della matassa, hanno, a maggior ragione, l’esigenza di individuare un capro espiatorio. Quale più facile di una Bce sotto accusa per avere tentato di essersi allargata troppo, di avere puntato a carpire (nel supporto agli Stati più indebitati) un ruolo che non le appartiene, di stare manipolando i negoziati perché aumentino le sue funzioni e i suoi poteri in campi delicatissimi (come la vigilanza bancaria), di avere riempito il proprio portafoglio di obbligazioni a rischio di diventare “spazzatura” poiché acquistate per agevolare Stati dell’eurozona in bilico (di insolvenza)? A questa accuse, si aggiungono insinuazioni su rapporti personali troppo stretti tra Draghi e Monti, di un occhio troppo benevolo nei confronti dell’Italia, di favoritismi nelle nomine e nelle promozioni all’interno dell’istituto.
Nel medio e lungo termine, il ridimensionamento del ruolo che oggi pare avere la Bce è analizzato da uno dei maggiori economisti polacchi, Marek Dabrowski, con grande esperienza internazionale (è stato alto funzionario del Fmi) e politica (è stato parlamentare). Dabrowski ricorda come gli statuti della Bce siano il frutto di una serie di complessi compromessi tra Stati con tradizioni profondamente differenti in materia di banche centrali, delle loro funzioni e del loro grado di autonomia dal potere politico. L’esito complessivo è un equilibrio molto delicato. “Se (la Bce) resta nell’ambito di questo equilibrio, la sua autorevolezza – e quindi la sua autonomia – non potrà che gradualmente crescere; se, invece, entra in materie che anche solamente sfiorano la politica di bilancio (come l’acquisto di titoli che qualche Stato ha difficoltà a collocare), potrà perdere la fiducia dei mercati, nonostante nel breve termine i mercati sembrino salutare con gioia questi interventi ed anche applaudirli”.
Ciò non significa certo che la posizione personale di Mario Draghi sia a rischio. E’ molto più verosimile che con fatti più che con parole gli venga ricordato che è un funzionario a cui è stato affidato un ambito molto specifico di competenza. La prima azione potrebbe consistere nell’escludere la Bce da qualsiasi attività di vigilanza bancaria.