La Grecia è esasperata. Agli effetti dilanianti della crisi, che stanno mettendo ogni giorno che passa sempre più in ginocchio la sua economia, il suo mercato del lavoro e le sue prospettive future, si aggiungono le pressioni internazionali. “Non ne possiamo più”, ha lasciato intendere il premier Antonis Samaras nell’incontro con la Merkel svoltosi a Berlino. Ovvero: la Grecia rispetterà gli impegni presi. Deve farlo per forza, se vuol ricevere gli aiuti necessari per pagare pensioni e stipendi pubblici. Ma ha bisogno di più tempo per portare e termine le misure richieste. La Merkel, dal canto suo, auspicando che la Grecia resti nell’euro, si è detta convinta del fatto che rispetterà gli impegni. Abbiamo fatto il punto della situazione con Gustavo Piga, professore di Economia politica presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.



Crede che la Grecia realmente terrà fede agli impegni?

I tagli servono solo per sanare una situazione congiunturale di risanamento del debito, mentre la politica del rigore a tutti i costi aumenta di giorno in giorno la probabilità che la Grecia non riesca a rimanere nel sistema euro. Il rigore andrebbe attuato, casomai, nel momento in cui la Grecia riuscisse a rimettere in moto il proprio motore ciclico. In tal senso, notizie buone non ce ne sono.



Cosa intende dire?

Si ha l’impressione che l’Europa abbia rinunciato ad alimentare la propria domanda interna. Lo confermano le tribolazioni delle borse europee ogni qualvolta si muove una foglia sul mercato americano.

Perché, allora, gli attori internazionali e, in particolar modo, la Germania, si ostinano a imporre alla Grecia l’austerità?

Questa è la domanda a cui nessuno riesce a dare realmente risposta. Sarebbe necessario vivere ogni giorno a Berlino per capire quali sono le effettive paure che dominano la mente dei politici tedeschi. La domanda è tanto più rilevante quanto più si avvicinano le elezioni interne. Ciò che è chiaro è che si sta rafforzando il fronte di opposizione interno alla Merkel, mentre la Baviera sta manifestando sempre più aggressività su questi temi. Entrambi stanno mostrando sempre più preoccupazioni rispetto alla possibilità di continuare a destinare aiuti alla Grecia.



Questo, perché la Germania è il Paese che sta “sborsando” di più?

In realtà, più che altro, c’è un enorme problema di mancanza di appropriata informazione sulle dimensioni di questo aiuto. La Germania, in termini di Prodotto interno lordo o di esposizione bancaria non è il Paese che ha più aiutato la Grecia. L’Italia, infatti, ha contribuito di più.

 

Crede, in ogni caso, che gli aiuti siano la strada giusta?

 

Non penso che dare direttamente soldi ai greci sia il sistema migliore per tirarla fuori dalle sacche della crisi in cui è precipitata. Il rischio è che, in questo modo, si disincentivi il Paese dal sistemare i fondamentali della propria economia. Tanto più in assenza di un meccanismo fiscale all’americana, dove vige un sistema di trasferimenti di cui, normalmente, i cittadini non hanno sentore, ma che consente agli Stati che si trovano in un fase di ciclicità negativa sopravvivere.

 

Di cosa c’è bisogno, quindi?

 

La Grecia, come del resto l’Europa intera, ha bisogno di una politica reflazionistica in grado di rilanciare i consumi. In tal senso, ovviamente, la Germania dovrà essere la più impegnata di tutti, dato che dispone degli spazi maggiori per adottare politiche fiscali espansive. Non è un caso, d’altro canto, che dopo tanti anni di sacrifici salariali, buona parte dello stesso mondo politico tedesco, della società civile e dei sindacati stia iniziando a chiedere buste paga più pesanti. Ogni Stato Ue, quindi, secondo le sue possibilità – in Italia, ad esempio, non è possibile aumentare il deficit – dovrà agire per riattivare il mercato comunitario interno. Questo, va da sé, favorirebbe l’export greco. Anche in termini, ad esempio, di turismo.

 

Lei parla di abbassare le tasse?

 

Non necessariamente. Diminuire la pressione fiscale rilancia i consumi esclusivamente laddove i cittadini abbiano la certezza che, nel breve periodo, non saranno alzate nuovamente. In caso contrario, si limiteranno ad accantonare il risparmio in attesa di tempi peggiori. L’imposizione tributaria, quindi, può essere ridotta in Germania. In Italia, ad esempio, sarebbe invece necessario varare massicci di interventi di spesa pubblica, finanziandoli con le tasse. I soldi ci sono. Attualmente, però, stanno venendo usati per ridurre il debito pubblico, quando i dati dimostrano che, in questo modo, l’economia non sta affatto ripartendo.

 

A livello di singoli stati, quindi, non ci sono soluzioni percorribili?

No. La soluzione ipotizzata nei termini suddetti può essere concordata esclusivamente e livello europeo. In aggiunta, le Nazioni dovrebbero siglare un patto di ferro che le impegni, una volta innescata la ripresa grazie all’aumento della spesa, a rimettere i conti in ordine. In sintesi, l’unico strumento per uscire dalla crisi è una politica fiscale espansiva in un contesto di rigore futuro, non appena la macchina sia ripartita.

 

E se la Grecia uscisse dall’euro?

 

Anzitutto, si produrrebbe un contagio psicologico tale per cui, ad esempio in Italia, una volta compreso che il passaggio è tecnicamente possibile, si determinerebbe un fuga dei capitali all’estero definitiva. Si sarebbe tradito, inoltre, un immenso progetto politico in cambio di pochi vantaggi di breve periodo.

 

Eppure, il Paese che dovesse tornare alla divisa nazionale, si ritroverebbe con una moneta fortemente svalutata capace di riattivare la competitività e i consumi

 

Non c’è dubbio. Tuttavia, in una Grecia sganciata dall’Europa, ogni scenario diventa possibile. Anche il ritorno, magari tra un decennio, di un regime analogo a quello dei Colonnelli. Ipotesi, del resto, verosimile in un qualunque Paese  ove sussista un enorme disagio economico – condizione dalla quale è emersa pressoché ogni dittatura – e che non sia inscritto in una cornice politica e istituzionale di ampio respiro come quella europea. All’interno di un mondo globalizzato, dove gran parte del futuro delle prossime generazioni si decide al tavolo dei grandi, inoltre, il peso di un singolo Paese si rivelerebbe praticamente inesistente.

 

(Paolo Nessi)

Leggi anche

SPY FINANZA/ Quei legami della Grecia con Russia e Cina di cui nessuno parla20 ANNI DI EURO/ Il fallimento europeo che può darci ancora anni di crisiSPY FINANZA/ I conti che costringono Uk e Grecia alla "imprudenza" sul Covid