L’euro è una realtà irreversibile, esordisce Mario Draghi. Tuttavia l’euro, da quel che emerge dalla conferenza stampa di Mario Draghi, può, anzi deve attendere. Ma le Borse non si sono fatte attendere: dopo un iniziale sconcerto, culminato in un breve rialzo, la frana ha preso velocità sia a Milano che a Madrid, ormai di nuovo a pieno titolo nell’occhio del ciclone.
La banca centrale, aveva assicurato il Presidente, farà quel che è necessario per il salvataggio della moneta unica. Ma, per il momento, siamo fermi alle linee guida. Ci vorranno settimane per mettere a punto i criteri di intervento sul mercato secondario da parte della Bce. Certo, assicura Draghi, si tratterà di interventi “non convenzionai”, ovvero di “operazioni adeguate” per raggiungere l’obiettivo. Ma ci vuole tempo. E poi toccherà ai governi attivare Efsf ed Esm purché rispettino gli impegni . E così via.
In sintesi, secondo i mercati finanziari, che hanno reagito alla conferenza stampa con un brusco ribasso dei listini e un altrettanto robusto aumento dello spread, Mario Draghi è stato obbligato a un’immediata marcia indietro rispetto alle dichiarazioni di Londra. Il governatore ha reagito con nervosismo alle osservazioni in merito. Non ho mai fatto riferimento, ha risposto, ad acquisti via Esm o altre operazioni del genere. Vero, almeno alla lettera. Ma il messaggio in arrivo da Londra era “facciamo presto”. L’esito del direttivo, al contrario, propone i soliti tempi lunghi, se non lunghissimi, necessari per una decisione operativa dell’eurozona.
Un disastro, soprattutto in un mese leggero come agosto, il più propizio per azioni speculative. Peggio ancora, dietro l’unanimità emersa dal direttorio (che ha lasciato i tassi invariati) c’è l’altolà imposto dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann che, come ha dovuto riconoscere Draghi, ha espresso anche all’Eurotower le sue riserve sugli interventi sul mercato secondario dei titoli di Stato: non è difficile prevedere che queste riserve condizioneranno in maniera determinante anche i lavori delle prossime settimane.
Insomma, almeno a prima vista, un disastro inversamente proporzionale alle speranze suscitate dall’affondo del governatore della Bce la scorsa settimana. Si torna alla situazione precedente, ma con l’aggravante che si è messo a repentaglio il carisma del banchiere centrale europeo. Eppure, c’è una linea che lega il Draghi decisionista di Londra al Draghi temporeggiatore di Francoforte. Il governatore non ha smentito la volontà di mettere in campo tutte le armi a disposizione per fronteggiare la crisi. Semmai ha precisato i ruoli. L’Esm, così com’è, non può aspirare alla licenza bancaria. Tocca all’Eurogruppo, non alla banca centrale, l’eventuale riforma.
Per quanto riguarda l’attivazione del fondo salva Stati, questa spetta ai governi. A partire da Italia e Spagna. La Bce cercherà di trovarsi pronta quando la Spagna farà le sue richieste alla porta dell’Efsf oppure all’Esm, (dopo l’approvazione da parte della Corte Costituzionale tedesca). Ma non è detto che Mariano Rajoy, che ha appena fatto il pieno di emissioni e non ha quindi esigenze di cassa per le prossime settimane, faccia il gran passo, che segnerebbe una sua parziale abdicazione. L’emergenza serve anche a questo, a fare pressioni su Madrid ed evitare così che a trovarsi in prima linea sia l’Italia, che ha esigenze di finanziamento del debito ben maggiori.
La scommessa di Draghi e degli altri banchieri centrali, insomma, è questa: definire a settembre l’intervento dell’Efsf (o, meno probabile, dell’Esm) per un importo considerevole, ma non superiore al centinaio di miliardi che sono già a disposizione del fondo. Poi, grazie a una politica attiva di interventi sul mercato (imitando la Fed, anche la Bce concentrerà i suoi acquisti sui titoli a breve mirando a irrigidire la curva), si cercherà di moltiplicare l’effetto calmiere per la Spagna e l’Italia. Senza imporre nuove manovre, ma solo verifiche frequenti sulla politica di rientro.
Basterà? A giudicare dalla violenza della reazione delle Borse, che rischiano di avvitarsi su sé stesse anche su volumi di scambi relativamente modesti, i rischi non mancano. Sia la Fed, che ha lasciato solo intravedere il QE3, sia la Bce, che ha deluso chi sperava in acquisti illimitati di Bonos e Btp, hanno favorito questa frana dei mercati di inizio agosto. Ma la speculazione è troppo scaltra per dimenticare che fra tre settimane, a Jackson Hole, le banche centrali potrebbero trovare l’accordo strategico per una battaglia d’autunno assai difficile. In quell’occasione Ben Bernanke potrebbe dare il via al QE3 e, più ancora, minacciare l’uso del targeting del Pil nominale, ovvero una politica per la crescita senza badare al rischio inflazione.
Difficile che i grandi hedge fund o altri speculatori dalle tasche larghe si spingano a manovre ribassiste violente in un quadro del genere. O almeno speriamo che l’Europa abbia fondamenta abbastanza solide per reggere a questa nuova ondata di pessimismo.
Per cercare un pur modesto conforto, accettate il consiglio di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos: fate una visita virtuale alla nuova sede che della Bce che sarà inaugurata nel 2014. Avrete almeno una doppia soddisfazione. Primo, l’orgoglio di far parte una volta tanto di una comunità che sa rispettare, in materia di investimenti pubblici, gli impegni presi con i contribuenti. Poi, percorrendo seppur solo per via virtuale, la gigantesca struttura destinata a ospitare la seconda banca centrale del pianeta per ordine di importanza, vi sembrerà una follia l’idea stessa di un tramonto o, peggio, della frattura della Bce.
Ma, forse, c’è spazio anche per una terza riflessione. La Grossmarkthalle, l’edificio che, una volta ristrutturato ospiterà le 2,500 teste d’uovo della banca guidata da Mario Draghi, è un frutto della tormentata storia europea: inaugurata nel 1928, quando la Repubblica di Weimar attraversava la sua fase più luminosa, precipitata nella notte più buia quando i nazisti, dal 1941 al 1944, la usarono come punto di raccolta degli ebrei da inviare nei campi, negli anni Cinquanta è diventato il mercato ortofrutticolo di Francoforte. Insomma, un monumento alla crisi europea, ma anche alla capacità del Vecchio Continente di risorgere come un’immortale Araba Fenice che sa volare anche sopra gli abissi delle Borse.