L’inflazione corre più veloce degli stipendi. Nel mese di luglio, le retribuzioni sono invariate rispetto a giugno ma salgono dell’1,5% su base annua. Questi i dati resi noti dall’Istat secondo cui l’aumento resta, comunque, sotto il livello d’inflazione annuo dello stesso mese, registrando una differenza di 1,6 punti percentuali. Sempre nel mese di luglio le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento del 2% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione.



“Da una parte i salari non riescono a recuperare sull’inflazione – dice Salvatore Barone del dipartimento industria e crisi aziendali Cgil -, dall’altra i rinnovi contrattuali risultano essere fortemente in ritardo. Questo, poi, si va ad aggiungere al rallentamento piuttosto consistente dovuto alla crisi della contrattazione decentrata territoriale o, prevalentemente, aziendale. Il risultato è che slittano o vengono addirittura cancellati i rinnovi dei premi aziendali legati all’andamento alla produttività”. E per l’autunno non si attendono riprese: “Le previsioni – aggiunge Barone – sono preoccupanti. Siamo di fronte ad una crisi industriale molto forte. Ad oggi, sono presenti moltissime vertenze aperte che non trovano una soluzione, come la Fiat, soprattutto di Termini Imerese e Pomigliano per cui è stata richiesta un nuovo intervento di cassa integrazione. Altri casi emblematici sono Irisbus, Eurallumina, Fincantieri e Alcoa, i cui dipendenti stanno manifestando proprio in queste ore sotto il ministero dello Sviluppo economico. A questi si aggiungono le vicende che coinvolgono l’Ilva e i minatori della Carbonsulcis che stanno facendo parlare di sé proprio in questi giorni. La cassa integrazione ha raggiunto la cifra record di un miliardo di ore richieste e che stanno ad indicare almeno 500mila lavoratori inattivi”.



I settori che a luglio presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: energia elettrica e gas (2,9%), tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,8%), chimiche, legno, carta e stampa, acqua e smaltimento rifiuti (2,7% in tutti gli aggregati). Si registrano, invece, variazioni nulle per agricoltura, telecomunicazioni e tutti i comparti della pubblica amministrazione. Alla fine di luglio la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 29,7% nel totale dell’economia e dell’8,5% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 31,6 mesi per l’insieme degli occupati e di 33,9 mesi per il settore privato. Agosto è, sempre secondo i dati Istat, il mese in cui cala l’indice delle imprese passando da 82 a 78,5%. La riduzione dell’indice è determinata in gran parte dal calo della fiducia rilevato nelle imprese dei servizi, del commercio e delle costruzioni. “Purtroppo – dice ancora Barone – di fronte a questo stato di cose, da una parte, non c’è un vero intervento di politica industriale per alimentare la ripresa incentivando e favorendo investimenti ed innovazione. 



E dall’altra, non c’è un intervento fiscale sui redditi da lavoro dipendente per favorire un rilancio dei consumi”. Unico dato positivo: la fiducia nelle imprese manifatturiere, secondo Istat, è invece sostanzialmente stabile. “E’ una fiducia piuttosto relativa – commenta Barone – è più che altro una sorta di attesa per la possibilità che il mercato si riprenda. Sicuramente, le aziende che si collocano sui mercati internazionali e si occupano, quindi, soprattutto di esportazioni, possono avere una chance in più per sperare nella ripresa. Chi opera, invece, sul mercato interno non dovrebbe avere lo stesso ottimismo”.