Ecco qua, già si legge che “la Merkel promuove Monti e Draghi”. E’ vero che gli esami non finiscono mai, è vero che viviamo in una Europa a sovranità controllata, ed è anche vero che a Berlino c’è una sorta di preside che pretende di bacchettare non solo gli scolari discoli, ma anche i professori; però bisognerebbe smetterla con certe metafore. L’incontro di ieri tra Mario Monti e Angela Merkel, infatti, è servito non tanto a capire le intenzioni del capo del governo italiano, quanto quelle della Cancelliera. Insomma, se di interrogazione si è trattato, toccava a Frau Angela dare le risposte, sull’Italia e sulla Banca centrale europea. Ma, a parte grandi dichiarazioni di fiducia reciproca, non sono emerse nuove iniziative concrete e l’Europa resta bloccata, come scrive con realismo il Wall Street Journal.
Il Mario di Roma ha spezzato una lancia a favore del Mario di Francoforte nel tentativo di capire se il mese di settembre potrà davvero maturare una svolta nella guerra allo spread. E non è un caso che proprio ieri sul settimanale Die Zeit (di ispirazione liberale) sia uscito un articolo di Draghi molto impegnativo, il cui messaggio è: la Bce resterà nell’ambito del suo mandato, ma a volte sono necessarie manovre non convenzionali e la banca centrale non può tirarsi indietro se vuole salvaguardare la stabilità del sistema. Una ortodossia creativa che la Merkel ha apprezzato, ma con grande abilità ha usato Draghi per contenere le richieste di Monti.
La Cancelliera ha sostenuto, come di prammatica, gli sforzi italiani per il risanamento. Se avesse detto che non ci credeva, sarebbe crollato tutto. La Merkel, del resto, ci crede per davvero e si augura che Monti rimanga anche dopo la fine della legislatura. Ma la questione chiave oggi non è questa. Il problema è se la Bce può acquistare titoli di stato italiani (e spagnoli) e fino a che punto può spingersi. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto mai e poi mai. Il rappresentante di Berlino nel consiglio esecutivo della Bce, Joerg Asmussen, ha spiegato che si può fare, “in parallelo” con il fondo salva stati, usando strumenti tecnici diversi e migliori di quelli adottati un anno fa, i cui dettagli verranno discussi nella riunione del 6 settembre. Dunque, è possibilista all’interno dei tradizionali paletti. Il primo, di importanza politica fondamentale, è che i governi costretti a chiedere l’intervento dovranno sottostare a impegni stringenti di politica economica. Anche se non è chiaro se il patto dovrà essere firmato con la Bce o con la Ue. I tedeschi considerano più credibile e cogente un accordo con la banca centrale e tuttavia, perché mai spetterebbe a lei stabilire la politica fiscale, se non può, per statuto, comprare direttamente i titoli di stato? Insomma, un guazzabuglio pratico, procedurale, teorico, che non è stato certo chiarito ieri, anzi.
Angela Merkel, dopo aver lisciato il pelo ai due Mario (pur nella loro assoluta autonomia, sia chiaro) ha stoppato ancora una volta la richiesta italiana che il fondo salva stati (o meglio il meccanismo europeo di stabilità in via di approvazione) possa ottenere una vera e propria licenzia bancaria, con la possibilità quindi di agire autonomamente sul mercato e procurarsi risorse emettendo titoli. Monti ha riproposto di nuovo questo meccanismo che renderebbe lo Esm più autonomo, meno dipendente dai governi ogni qual volta si veda costretto a impiegare i propri denari. La Merkel gli ha ricordato che anche per Draghi ciò non sarebbe compatibile con i trattati. E Monti ha ripiegato: “Magari in futuro e in altre condizioni, è una tessera nel mosaico”. Per la Germania, significa far rientrare dalla finestra gli eurobond. Demonizzati anche agli occhi dell’opinione pubblica, interpretati come un mezzo per far pagare ai contribuenti tedeschi la dolce vita degli italiani e la movida degli spagnoli (i greci ormai sono fuori gioco), nessun politico a un anno dalle elezioni, se la sente di rischiare che lo spauracchio venga evocato dalla immancabile Bild Zeitung.
L’incontro di Berlino, dunque, ha mostrato ancora una volta una Merkel a più volti. A parole ha mollato i falchi e gli iperortodossi, per seguire una linea pragmatica. E, non solo a parole, appoggia Monti e il percorso doloroso quanto inevitabile sul quale si è avviata l’Italia. Però, non molla un centimetro sui punti chiave, in primo luogo sulla disponibilità a mettere in comune in tutto o in parte i debiti europei, agendo come se si trattasse di un unico paese. E’ vero, Frau Angela propone un balzo nel cammino verso il federalismo e i suoi esperti stanno studiando nuovi trattati multilaterali (tenendo però nel cassetto, non si sa mai, anche quelli unilaterali con i paesi che fossero costretti a uscire dall’euro). Ma tutto ciò appare una fuga in avanti retorica se non è sostenuto, qui ed ora, da una vera volontà di cooperazione. Lo scrive anche Draghi nell’articolo su Die Zeit e si dichiara per una strategia dei passi concreti. Primum vivere, insomma. Che significa dire “un giorno saremo più uniti” se intanto ci facciamo la guerra economico-finanziaria? E’ facile prevedere, dunque, che di qui al vertice di ottobre e poi al consiglio europeo di fine anno, seguiranno molti altri tête-à-tête. Sempre che la Bundesbank consenta alla Bce di intervenire, perché altrimenti l’euro rischia di non mangiare il panettone. Il 12 settembre l’alta corte tedesca dovrà decidere se lo Esm è costituzionale o no. La Merkel è fiduciosa. E noi con lei. Non abbiamo alternative.