Mario Draghi ci è riuscito con la spavalderia di Dirty Harry: ci voleva un uomo coraggioso e un po’ spavaldo, scrive il New York Times, per spaventare la speculazione sibilando, ad inizio agosto, “farò tutto quel che si deve fare per salvare l’euro”. Roba da Dirty Harry, ovvero Clint Eastwood nei panni dell’agente Callaghan, per spaventare la speculazione al ribasso che nelle passate estati ha travolto Borse ed interi Paesi, Irlanda, Portogallo, Grecia. Ma, per ora, si è fermato alla frontiera spagnola e sul Brennero.
Ben Bernanke ha preferito indossare i panni dell’abatino, capace di porgere l’altra guancia e di tacere mentre contro di lui piovevano le invettive del fronte repubblicano, soprattutto ora che a guidare la batttaglia contro la Fed e gli altri regolatori c’è Paul Ryan, il candidato alla vicepresidenza, che promette il ritorno al gold standard e ad una Fed subordinata ai voleri del Congresso. Ma quei silenzi hanno ragiunto l’obiettivo: nessuno ha avuto il coraggio di speculare al ribasso nel timore che la Fed scatenasse una nuova pioggia di liquidità contro le vendite speculative.
E così, senza spendere un solo euro od un solo dollaro, i due banchieri centrali hanno superato un mese difficile, quello che doveva, secondo le Cassandre, segnare l’uscita della Grecia dall’euro, l’attacco finale allo spread di Italia e Spagna. E magari far crollare Wall Street sotto il peso dei guai europei e della frenata della Cina. Un piccolo capolavoro. Anzi, secondo i maligni, una sopraffina esibizione dell’arte del bluff. Ma, ahimè, sia nel poker che sui mercati finanziari, prima o poi bisogna metter giù le carte. Cosa che, a partire da stamane, toccherà fare sia a Bernanke che a Draghi.
Il calendario di settembre è davvero impressionante. Si comincia oggi, anzi stasera, in quel di Jackson Hole, Wyoming, a due passi passi dal parco di Yellowstone, quello dell’orso Yoghi. Qui Bernanke dovrà esporre ai colleghi (assenza illustre, quella dello stesso Draghi) le strategie con cui la Fed si accinge ad affoentare un anno difficile, segnato dalle elezioni di novembre, dal nodo del “fiscal cliff” (il burrone fiscale) che il vincitore delle urne dovrà affrontare per evitare che l’economia Usa precipiti in recessione. Wall Street, assieme alle Borse dell’intero pianeta, aspetta con trepidazione: se non verrà annunciato un nuovo Qe (Quantitative easing, cioè l’immissione di abbondante liquidità) , i mercati la prenderanno assai male. Ma non è affatto detto che Bernanke o il comiatto monetario della Fed che si riunirà il 6 settembre ceda ai desideri del mercato: la sua preoccupazione principale è di non sprecare munizioni preziose in vista degli impegni di fine anno quando, in assenza di un accordo politico sul budget, le famiglie americamne potrebbero affrontare un salasso fiscale capace di stroncare i consumi. Forse il placido Ben imiterà Draghi: parole grosse per tranquillizzare i mercati (l’economia, poi, non va poi così male oltre Oceano), fatti per ora pochi.
Super Mario Draghi entreà in azione il 6 settembre. Data del direttorio della Bce. Alla partita decisiva Draghi si avvicina con il consenso di Angela Merkel. Il capolavoro del banchiere italiano è stato saper miscelare l’annuncio di acquisti da parte della Bce con la conferma dei paletti chiesti dal governo tedesco per non spaventare l’opinione pubblica del Nord Europa. Draghi si avvia allo scontro finale con la Bundesbank dopo aver ribadito che il fondo salva Stati entrerà in azione solo dopo una richiesta ufficiale (e opportune garanzie) dei Paesi a rischio e aver accantonato l’ipotesi di una licenza bancaria per l’Esm. Facile che, su queste basi, la spunti. Meno facile capire se, al termine del direttorio, il bazooka della Bce entrerà finalmente in azione. Oppure resterà un semplice impegno teorico. Draghi senz’altro punterà a metter nero su bianco le regole di ingaggio (cioè i confini dell’intervento della banca) per evitare ostruzionismi in futuro. Ma non potrà spingersi troppo in là: il 12 settembre, si sa, i destini delle decisioni di Francoforte dovranno passare il vaglio della Corte Costituzionale tedesca. Un’opposizione troppo forte dei giudici costituzionali ad acquisti oltre i limiti dell’Esm potrebbero creare seri impicci. Meglio muoversi con prudenza, ma con fermezza. Come Dirty Harry appunto, consapevoli che alle spalle c’è il consenso (condizionato e prudente) dello sceriffo Merkel. Anche perché gli esami non finiscono qui.
Settembre sarà decisivo anche per le sorti dell’unificazione dei sistemi di vigilanza sulle banche europee, determinante per il risanamento delle banche di Madrid ma anche per i futuri poteri della Bce rispetto alle autorità nazionali, a partire ancora una volta dalla Germania. Nel frattempo, si tornerà a parlare di Grecia: a metà mese, infatti, sarà sui tavoli di Bruxelles, Berlino e Parigi il dossier della Trojka europea, decisivo per la concessione o meno dei crediti e della moratoria temporale per Atene. Intanto, dalle urne olandesi ( si voita anche qui a metà mese) potrebbe uscire un risultato elettorale pro o contro l’Europa che influenzerà gli umori della capagna elettorale tedesca, appena agli inizi. E così via. Inutile illudersi che la riunione del direttorio della Bce possa segnare il punto della svolta. E’ un passaggio cruciale, decisivo e se volete epocale, ma solo un passggio di un percorso ad ostacoli destinato a proporre ben altre prove. Nella speranza che Bernanke e Draghi possano continuare a svolgere con successo il ruolo di supplenza dei vuoti della leadership politica, materia prima che manca ad Occidente e, in attesa delle scelte del Congresso del Pcc, non sembra abbondare nemmeno a Pechino, in piena frenata.
E’ in questa cornice che il mondo si congeda da un mese che non è stato tragico come si temeva ma che ha regalato notizie significative, spesso passate in secondo piano. Proviamo a rispolverarne qualcuna prima che finisca definitivamente nell’oblio.
Tanto per cominciare, il Leone d’oro (siamo in tempo di festival) per la miglior performance del debito pubblico spetta alla repubblica Ceca. Mercoledì, mentre Mario Monti e d Angela Merkel sottolienavano con grande soddisfazione che i rendimenti dei titoli italiani a sei mesi erano finalmente scesi sotto il 2%, Praga riusciva a collocare i suoi bond al 2,14%. Ma si tratta di titoli a nove anni, mica a sei mesi. Anzi, gli esperti sono convinti che presto il debito ceco sotto i 12 mesi renderà zero o anche meno. Intanto le agenzie di rating giudicano la repubblica Ceca, già inserita tra gli emergenti, davanti alla Francia, quattro gradini sopra l’Italia, addirittura cinque sopra la Spagna. Complimenti a Praga, ma non possiamo fare a meno di pensare, di fronte a questi numeri, che l’appartenenza all’eurozona, dopo tre anni di politica fallimentare che hanno minato la fiducia nell’euro, si è trasformata in un grave handicap. In sintesi, o si riesce ad invertire, in tempi brevi, questa tendenza oppure l’implosione rischia di essere inevitabile.
Non sono mancati i “gialli”. Uno tanto trascurato quanto thrilling riguarda il petrolio saudita. A metà agosto le 30 mila centraline elettroniche che regolano il pompaggio dai pozzi più ricchi di oro nero del pianeta sono stati aggrediti da hackers in azione per conto (pare) di Teheran. L’attacco è stato neutralizzato spegnendo il sistema e facendo intervenire una rete di emergenza. Ma l’operazione, probabile rappresaglia per l’incursione assai più efficace dei bug israeliani nella rete atomica iraniana, serve a ricordare che i prossimi mesi saranno decisivi per la partita atomica in Golfo Persico: l’attacco di Israele potrebbe partire, dicono gli esperti, durante la campagna elettorale Usa, nella convinzione che il presidente Obama non se la sentirà di fermare i piani di Gerusalemme inimicandosi il voto ebraico. A quel punto, il tema dello spread passerà in secondo piano…
Infine, una micronotizia terribile. Unilever, afferma il responsabile marketing del colosso del largo consumo, ha deciso di applicare all’Europa le strategie utilizzate in Asia. Il motivo? L’Europa è entrata nella stagione della povertà. “Non posso vendere un fustino di detersivo a 8,5 euro ad una masaia spagnola che ha solo 17 euro per fare la spesa” è la spiegazione del manager. Perciò, via libera alle confezioni monodose. Si venderà ad Atene una bustina di puré per volta, piuttosto che una sola bustina di shampoo come avviene a Giacarta o ad Hanoi. Un conislgio: mandate in omaggio quella bustina monodose a Francoforte perché venga distribuita ai 18 membri del direttorio della Bce in vista della riunione del 6 settembre. Può servire a rinfrescare la mente di qualche falco.