Giovedì scorso si è svolta la riunione della Bce, guidata da Mario Draghi, che doveva definire nel dettaglio quelle azioni che davano sostanza agli annunci fatti dallo stesso Draghi cinque giorni fa: “La Bce farà di tutto per salvare l’euro”, aveva detto; per poi, quasi con tono sprezzante, da cowboy alla “Ok Corral”, aggiungere: “E credetemi, sarà abbastanza”. I giornali lo avevano definito “il bazooka della Bce”. “Abbastanza” è diventato, dopo la conferenza stampa del 2 agosto, abbastanza niente. Un flop clamoroso, un bluff; e i mercati hanno immediatamente dato il giusto peso alla situazione: l’indice italiano Ftse Mib è passato dal +3% al -4,65%, lo spread da 460 a 510.
Venerdì poi si è avuto il classico rimbalzo tecnico di fine settimana. Nessuna buona notizia, se non il dato positivo sulla disoccupazione Usa (ma le borse già erano in salita). Alla fine, la Borsa di Milano ha chiuso con uno scintillante +5,5%, ma con volumi tanto scarsi da non essere credibile, mentre lo spread è tornato intorno ai 460 punti.
Tutto bene? Neanche per sogno. Come detto, nessuna novità significativa dall’economia reale internazionale, mentre quella italiana aveva già incamerato dati impietosi: immatricolazioni auto al -21,4%, e come numero totale siamo tornati al 1978. Mentre secondo la Confcommercio i consumi scendono del 2,8%, un dato che ci riporta alla Grande Depressione del 1929.
Ma qual è il significato politico ed economico di tale situazione? Per comprenderlo, occorre ricordare che il giorno prima della riunione della Bce, Jens Weidmann, presidente della Banca Centrale tedesca, era intervenuto duramente sull’ipotesi di dare una licenza bancaria al fondo Esm, in via di costituzione. Ebbene, la dichiarazione di Weidmann, non richiesta, era stata che non se ne faceva nulla e che “la Bce deve rimanere all’interno del suo mandato”. Come dire: niente soldi ai paesi in difficoltà. E poi ha aggiunto: “Noi della Bundesbank non siamo certo una Banca centrale qualunque, ma la maggiore banca centrale dell’Eurozona e contiamo quindi più di altri”. Un’arroganza niente male.
Ma con tutti i miliardi intascati dalle banche tedesche, che avevano acquistato a man bassa titoli greci poi finanziati dalla Bce, come mai questa chiusura? Come spiegarla, se non con il tentativo egemonico della Germania di dominare non solo la finanza, ma anche l’economia europea? I tedeschi, attraverso la Bce, stanno operando davvero per il bene comune, oppure pensano solo ai loro interessi?
Dobbiamo renderci conto che, a causa dei recenti crolli di valori della Borsa italiana, colossi del nostro Paese come Unicredit e Finmeccanica diventano improvvisamente bocconi appetibili. Pochi giorni fa ilsussidiario.net ha pubblicato un mio articolo in cui mostravo come, secondo uno studio di Bank of America, analizzando la situazione con la Teoria dei giochi, sviluppata dal premio Nobel John Nash, la soluzione preferita e conveniente, soprattutto per l’Italia, sia l’uscita dalla moneta euro. Ma quell’analisi e quel risultato meritano un approfondimento.
Alcuni analisti ed economisti hanno osservato che quello studio ha una validità limitata poiché schematizza e semplifica enormemente la complessità economica dei paesi in gioco. Ebbene, non è vero. In questo caso, non si tratta di valutare l’entità numerica di un’analisi o di un indicatore. Si tratta invece di valutare la qualità delle informazioni utilizzate. In questo caso, uno degli elementi caratterizzanti i rapporti tra gli attori in gioco (i paesi) è la reciproca competitività. In altre parole, ogni singolo attore ha un certo obiettivo (il vantaggio economico, oppure l’equilibrio di bilancio) indipendentemente dal beneficio o dallo stato di sofferenza dell’altro. Se l’obiettivo non è il gioco di squadra, se vi può essere un solo vincitore, allora per definizione tutti gli altri sono perdenti. E questo non dipende dalla complessità del sistema, dalla complessità delle regole del gioco.
In questo senso, la qualità dello studio di Bank of America è terribilmente attuale rispetto alla situazione europea. Quando le banche tedesche e francesi hanno acquistato negli anni passati titoli di stato greci, lo hanno fatto perché avevano rendimenti stratosferici, superiori al 20%. E lo hanno fatto ben sapendo di poter influenzare pesantemente la Bce, chiedendo di finanziare (cioè indebitare ulteriormente) la Grecia perché potesse pagare i titoli venduti con quegli interessi da strozzini.
Al di là di ogni considerazione politica, qui l’elemento decisivo è che la sopravvivenza o il benessere della Grecia non sono un elemento presente da tenere in considerazione. Non si tratta di una decisione “contro” la Grecia, ma semplicemente il benessere della Grecia non è preso in considerazione. Lo stesso si deve desumere dal tono delle parole di Weidmann sopra riportate: “Noi contiamo più di altri”. Si può anche essere d’accordo, ma qui il bene comune non è contemplato. Niente bene comune, niente solidarietà, nessuno spazio per la sussidiarietà. Il più forte arriva all’obiettivo, gli altri rimangono schiacciati. Come la legge della giungla, come la legge del più forte. Dove i deboli perdono sempre.
La Germania ha fin troppo goduto di questa unione monetaria compiuta sulle teste dei popoli europei. L’euro utilizzato in questa maniera ha permesso la crescita della loro economia, mentre tutto il resto del mondo è in crisi profonda. Ormai anche le teorie matematiche più avanzate lo confermano: in queste condizioni, non è più possibile andare avanti, conviene uscire dall’euro.
Non è detto che si debba arrivare a quel risultato. Occorre che vengano cambiate le condizioni in cui si utilizza, cioè si stampa, l’euro. Occorre affermare condizioni diverse, in cui l’euro sia uno strumento monetario a sostegno del bene comune. E non basta; l’euro è una moneta a dimensione europea, adatta a commerci di tipo sovranazionale e intercontinentale. Ma esiste anche l’economia locale, anch’essa richiede diritto di cittadinanza, anch’essa ha bisogno di una sua moneta. Per questo occorre il ripristino delle monete nazionali.
A questo punto, iniziare a progettare il ripristino di una moneta nazionale ha una doppia valenza: prima di tutto, tale progetto deve diventare l’arma di ricatto politico per ammorbidire il comportamento tedesco. Con il ripristino della lira, con opportune svalutazioni competitive, per la Germania sarà ben difficile vendere i suoi prodotti in Italia, poiché risulteranno carissimi. La Germania subirebbe un crollo delle proprie esportazioni, mentre per il mercato italiano vi sarebbe finalmente la ripresa dei consumi interni e la ripresa dell’occupazione. E poi, come secondo elemento, anche mantenendo l’euro rimane comunque la necessità di sostenere l’economia nazionale, con una moneta nazionale. Quindi tanto vale prepararsi.
Come già affermato in altri articoli, non credo che la dissoluzione dell’euro sia un bene. Ma occorre radicalmente cambiare le condizioni nelle quali l’euro viene creato e diffuso. E occorre tornare alle monete nazionali. E probabilmente, per il bene dell’economia reale, occorrono monete locali complementari. Non amo fare previsioni, ma questa mi pare troppo facile. Il ritorno a una moneta nazionale sarà uno dei temi caldi delle prossime elezioni politiche. E mi pare che vi sia un gran fermento tra le associazioni e gruppi di persone impegnate a vario titolo sul territorio italiano. Ne vedremo delle belle.