Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, parla davanti alla Commissione finanze della Camera. E naturalmente parla di “guerra” all’evasione fiscale, pur avendo la sensazione di essere quasi messo sotto accusa per l’azione di Equitalia. Adesso spunta un altro congegno, che dovrebbe andare a regime entro fine mese, o al più tardi entro fine ottobre, il cosiddetto redditometro. A che cosa serve lo strumento che sta approntando il “guru” del fisco italiano? Servirà a scovare gli evasori confrontando il reddito dichiarato dal contribuente con il suo tenore di vita attraverso una serie di voci “spia”. Non si tratta solo di barche o macchine di lusso, ma anche le spese per la colf, per il cellulare, per l’asilo o per l’università dei figli, fino all’abbonamento in palestra, alla parcella del veterinario, alle donazioni alle onlus. Un’invasività dello Stato nella vita dei cittadini, di tutti i cittadini, neppure di una categoria sociale, che appare incredibile. Insomma, si creeranno sette grandi categorie che danno un’idea della capacità di spesa del contribuente e quindi stimano il suo reddito “presunto”. Ed è sul concetto di “reddito presunto” che si aprono una serie di interrogativi e anche di polemiche, che ormai mettono in discussione anche gli “studi di settore”, che hanno una quindicina d’anni di vita. E’ Giulio Sapelli che ha il merito di chiarire la portata del nuovo marchingegno fiscale senza tanti giri di parole. Sapelli ha insegnato e lavorato in università e imprese italiane e straniere. E’ un grande economista che attualmente insegna Storia economica all’Università statale di Milano e non è stato mai tenero con questo “governo dei tecnici”.



Come le sembra il temuto redditometro?

Sto pensando come possano ancora funzionare gli “studi di settore” in un momento come quello in cui stiamo vivendo. Nella crisi in cui ci troviamo come si fa a stabilire che un artigiano possa raggiungere un determinato o predeterminato reddito? Diciamo francamente che questi “studi di settore” non hanno più alcun senso di fronte a questa depressione dell’economia, a questa recessione. Lo stesso schema del redditometro, sulla base del momento economico in cui siamo, alla fine si configura come un altro atto di repressione fiscale.



C’è la sensazione che addirittura sia rovesciato l’onere della prova nel rapporto tra Stato e cittadini, tra Stato e contribuenti.

I grandi e vecchi professori di Scienza delle Finanze avrebbero detto che stiamo vivendo in un periodo di repressione fiscale. Un tempo questo avveniva dopo le guerre, con l’inflazione e altro. Ma in Italia siamo specialisti in questo genere di repressione. Basta pensare a quello che fece Giuliano Amato con il suo governo, prelevando dal conto corrente degli italiani una percentuale, di notte, e dichiarandolo il giorno dopo. Questo fatto resterà come un esempio irripetibile nella storia, perché nessuno ci è mai riuscito, nemmeno in Sud America. Guardando agli studi di settore e a questo redditometro ci si trova di fronte a calcoli statistici su cui si prevede il reddito delle persone. Incredibile.



Questo comporta una rapporto sempre più problematico tra Stato e cittadini.

Si è completamente rovesciato il vecchio schema su cui era fondata la “riforma Vanoni”, la dichiarazione, un rapporto in cui i cittadini non avevano paura e che alla fine si sistemava se c’era qualche cosa in più da aggiustare. Ci siamo immersi in una situazione completamente diversa, adesso la paura esiste in tutti. Personalmente posso testimoniare su una questione che sembra kafkiana per via di una tassa sull’immondizia. Poi ho saputo che i grandi ristoratori non pagano per dieci anni questa tassa e i primi cinque non devono essere pagati perché vanno in prescrizione. Ma è chiaro che quello che sta avvenendo, soprattutto con l’azione di Equitalia, non fa che allontanare i cittadini dallo Stato. C’è il recente esempio portoghese da studiare, dove emerge un insegnamento che è quasi elementare.

Quale esempio portoghese?

In Italia, i giornali, ovviamente non ne parlano, ma il Financial Times ci ha dedicato un’intera pagina. Che cosa è successo? Il primo ministro portoghese ha deciso un aumento delle tasse del 20%. Il risultato? Un crollo delle entrate. Inevitabile e scontato.

 

“Guerra” all’evasione fiscale, politica del rigore. Ieri il presidente del Consiglio, Mario Monti, di fronte ai dati negativi del Pil e al crollo dei consumi, ha dichiarato: “Il governo ha contribuito ad aggravare la congiuntura economica, già difficile, con i suoi provvedimenti che però serviranno a un risanamento e a una crescita duratura”. Che dire di fronte a una dichiarazione del genere? Dopo una lunga caduta non è che si risalga molto rapidamente.

 

Non è molto difficile rispondere, a mio avviso. Qui si tratta di non comprendere neppure l’abc dell’economia. Io credo che uno studente di economia che desse una simile risposta, sarebbe respinto, bocciato.

 

(Gianluigi Da Rold)