Tra annunci, smentite e promesse che viaggiano veloci sul sottile filo della credibilità, le due facce di Sergio Marchionne continuano a terrorizzare l’Italia: un primo profilo mostra l’indiscusso top manager italo-canadese, capace grazie a quel suo “magic touch” di prendere la Chrysler e rilanciarla a tempo di record verso un successo che affascina gli States. Cambiando invece prospettiva, ecco il dirigente nato a Chieti sessant’anni fa, quasi impassibile di fronte a un sempre più evidente tracollo della Fiat: il progetto Fabbrica Italia, annunciato nell’aprile del 2010 con l’obiettivo di rilanciare la produzione del Lingotto nel Paese attraverso investimenti per oltre 20 miliardi di euro, con ogni probabilità non vedrà la luce, come ha fatto intendere il comunicato diffuso giovedì dal Lingotto. Dopo il dramma di Termini Imerese, l’incubo di veder chiudere un nuovo stabilimento si fa sempre più reale. Ne parliamo con il giornalista economico Stefano Cingolani, esperto delle vicende Fiat.



Al di là del comunicato di Fiat, la cancellazione del progetto Fabbrica Italia era comunque già nell’aria. Non crede?

Sì, la notizia era decisamente prevedibile. Da almeno un anno Marchionne ha smesso di parlarne e credo che nessuno sia rimasto veramente stupito dal constatare che in realtà il progetto Fabbrica Italia non esiste, fatta eccezione per quelle slides presentate un paio d’anni fa. Era arrivato il momento per la Fiat di annunciarlo fino in fondo, anche perché già da qualche tempo sindacati e membri del governo chiedevano con insistenza un chiarimento riguardo i 20 miliardi promessi.



Come giudicare però il comportamento di Marchionne?

E’ evidente che l’ad di Fiat, che a lungo si è presentato come il manager che adempie alle proprie promesse, in realtà non ha affatto rispettato quanto affermato, almeno nei confronti dell’Italia.

Nella nota diffusa dalla Fiat, viene spiegato che “le cose sono profondamente cambiate. Il mercato dell’auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni Settanta”. E’ vero?

Non c’è dubbio che rispetto al 2010 le condizioni siano cambiate notevolmente. In Europa è in corso una guerra di mercato molto dura dalla quale stanno uscendo vincitrici solamente tre grandi case tedesche, vale a dire Volkswagen, Bmw e in parte Mercedes. Tutte le altre case europee ne escono invece decisamente sconfitte, come Peugeot che ha già minacciato la chiusura di un impianto, e la stessa Renault che per il momento riesce a restare a galla soprattutto grazie alle vendite asiatiche di Nissan, gruppo che controlla.



Si poteva immaginare uno scenario simile nel momento in cui Marchionne lanciò il progetto Fabbrica Italia?

Difficile a dirsi, però anche in quell’occasione Marchionne tornò a parlare dell’eccesso di capacità produttiva presente in Europa, quindi con ogni probabilità già immaginava che prima o poi si sarebbe potuti arrivare a una contrazione. Credo inoltre che la stessa idea fosse presente anche un anno fa, quando iniziò la campagna sui contratti e le vicende di Pomigliano e Mirafiori: ho l’impressione che anche in quel caso Marchionne vedesse l’Italia come l’anello debole dello scenario europeo e la Fiat in forte difficoltà.

 

Qual è dunque adesso il rapporto tra Fiat e Chrysler?

 

La rapidità con cui la Fiat ha acquisito Chrysler fa certamente riflettere. Siamo arrivati a un punto in cui sembra che in realtà, anche se gli Agnelli possiedono la quota maggioritaria della Chrysler, sia proprio la casa americana ad aver totalmente assorbito la Fiat sul piano industriale. Insomma, quella che in questi casi dovrebbe essere una normale sinergia si sta trasformando in qualcosa che somiglia a uno scambio ineguale.

 

Marchionne scoprirà le carte solo a ottobre. Cosa aspettarci?

 

Sicuramente la chiusura di altri stabilimenti. Senza gli investimenti promessi comprendo facilmente la preoccupazione che in queste ore i sindacati stanno esprimendo riguardo Mirafiori, mentre nel caso in cui la produzione della Nuova Punto dovesse slittare ancora anche i lavoratori di Melfi avrebbero di che temere. In attesa di vedere cosa accadrà, è però ormai chiara l’intenzione di Marchionne di volersi allontanare dall’Italia: da tempo sappiamo che l’asse si sarebbe spostato verso gli Stati Uniti, ma che poi non ci sarebbe stata una ricaduta sull’Italia, come promesso, non era assolutamente così scontato.

 

(Claudio Perlini)