Non bastavano i casi Ilva, Alcoa, Eurallumina e Carbolsulcis. Non bastavano i 150 tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo economico che coinvolgono circa 180.000 lavoratori e oltre 30.000 esuberi. Adesso ci si mette anche Sergio Marchionne, colpevole secondo molti di aver “tradito” il nostro Paese, di continuare a favorire il tracollo Fiat e di assistere impassibile alla probabile chiusura di altri stabilimenti. Sono passati oltre quarant’anni da quando il socialista De Martino parlò per la prima volta di “autunno caldo”, intervenendo in aula dopo che proprio Fiat e Pirelli avevano appena fatto scattare la sospensione di migliaia di operai dei loro stabilimenti per contrastare l’ondata di scioperi per il rinnovo dei contratti. Le mancate promesse del progetto Fabbrica Italia, nonostante le tante parole di fiducia del governo su crescita e sviluppo, confermano il declino industriale di un Paese che sprofonda ancor di più nonostante i timidi tentativi di risorgere. IlSussidiario.net fa il punto della situazione insieme a Claudio Sardo, direttore de L’Unità.



Cosa ha pensato dopo l’annuncio di Fiat sul progetto Fabbrica Italia?

La nota del Lingotto mi ha lasciato esterrefatto, ma le avvisaglie c’erano tutte. I dubbi sull’effettiva consistenza e veridicità del piano Fabbrica Italia sono nati lo stesso giorno del suo avvio e in questi due anni i governi hanno sempre evitato quel dialogo diretto con i vertici aziendali che invece sarebbe avvenuto in qualsiasi altro Paese occidentale. La Fiat può fare e dire quello che vuole solo in Italia, mentre negli Stati Uniti, dal momento in cui si è realizzata la fusione con Chrysler, il governo si è dimostrato sempre molto attivo e partecipe nella gestione della contrattazione del piano industriale. Da noi questo non è avvenuto, con il governo Berlusconi prima e con quello Monti poi.



La Fiat ha giustificato la scelta dicendo che le cose sono profondamente cambiate e che il mercato dell’auto, in Europa e in Italia, è entrato in una grave crisi. Queste parole l’hanno convinta?

Non proprio. Personalmente credo che Fabbrica Italia fosse un bluff fin dall’inizio. Marchionne ha sempre evitato il confronto a riguardo e non ha mai fatto nulla per concretizzare realmente il progetto, quindi ho il forte sospetto che già due anni fa questo fosse destinato a non vedere mai la luce. Nonostante ciò, in questi due anni il mito di Fabbrica Italia ha consentito a Fiat di operare politiche sindacali gravissime: mentre ancora in pochi si chiedevano se tale piano fosse una pantomima o meno, Fiat ha scardinato Confindustria e ha puntato a distruggere il patto sociale attraverso azioni di una immoralità unica che ancora oggi gridano vendetta, come la decisione di far rientrare a Pomigliano tutti i lavoratori tranne coloro che erano iscritti alla Fiom. Anche se tutto questo appartiene al passato, è inevitabile che pesi enormemente sulle responsabilità di oggi.  



Come giudica il silenzio di Marchionne nonostante le numerose polemiche?

Per due anni Marchionne ha raccontato una storia alla quale probabilmente non credeva neanche lui, quindi mi auguro che possa presentarsi al più presto e spiegare quali sono le sue reali intenzioni. I danni che questo gruppo dirigente ha prodotto al nostro Paese non possono però essere sanzionati con una reazione nei confronti dell’intera azienda: la Fiat è una grande risorsa nazionale ed è il momento di impegnarsi per il suo bene e per quello di tutte le famiglie coinvolte. 

Che cosa si aspetta dal governo?

E’ necessario che il governo si metta al tavolo il prima possibile per realizzare quelle condizioni con cui colmare il deficit di ideazione e strategia produttiva della Fiat. Arrivati a questo punto è ormai chiaro che il vero problema dell’azienda non è la produttività, ma la sua capacità di realizzare modelli nuovi e competitivi per tornare sul mercato. Il governo non può pensare di trascurare una simile questione e chi crede ancora alla capacità autoregolativa del mercato mente sapendo di mentire.

 

Cosa dovrebbero fare invece i sindacati?

 

In passato la Fiat ha portato avanti una forte politica di divisione sindacale sostenuta dal governo precedente. Quello attuale non sembra così ideologicamente accanito, ma non ritiene che il patto sociale sia un valore e di conseguenza non lo considera. I sindacati devono dunque riuscire innanzitutto a ritrovare quell’unità di azione che in questi anni si è persa e tentare in ogni modo di esercitare un’efficace pressione sul governo riguardo il caso Fiat. Al di là di questo, invece, è necessario che riescano a dare corpo a un patto con le imprese, che ritengo siano ormai coscienti di questo loro ruolo.

 

Quale dovrà essere invece il ruolo della politica italiana?

 

E’ assolutamente necessario porre nuovamente il tema della politica industriale al centro dei programmi di governo. Per vent’anni l’Italia è stato l’unico Paese occidentale ad aver praticamente abolito queste parole, eppure disponiamo della seconda manifattura d’Europa. Nel nostro Paese l’ideologia liberista ha sostanzialmente “ubriacato” tutti, portandoci ad abbandonare il fondamentale tema della politica industriale. Se adesso tutto ciò potrà diventare un terreno fertile per un lavoro comune delle parti sociali, mi auguro che possa ristabilire una priorità anche nel dibattito pubblico. La campagna elettorale dovrà inevitabilmente puntare su questo, senza dimenticare che ci troviamo anche in un periodo di grandi cambiamenti tecnologici, come la green economy, ma non solo. Abbiamo incredibili possibilità in tantissimi settori e la politica dovrà assolutamente mettere al centro del dibattito questi temi, anche se poi toccherà soprattutto al governo fare la differenza.

 

(Claudio Perlini)