Mai giorni sono stati e saranno più densi di conseguenze per il mondo – e per l’Europa in particolare – di quelli che stiamo vivendo. Si è appena conclusa in Europa una lunga battaglia tra politica ed economia nazionale e internazionale. Una battaglia che si svolge tra le capitali della finanza europea, tedesche in particolare, con la punta del compasso sulla vetta della Bce, che ha iniziato la politica di acquisto illimitato di titoli di stato.



Certo: con mille ostacoli, forche caudine, sottrazioni di sovranità ed esami a cui tutti coloro che vorranno gli acquisti illimitati come balsamo per i dolori della recessione acuita dalla politica di austerità dei teorici neoliberisti, dovranno sottoporsi. Ma la sostanza rimane. La battaglia è stata vinta dalla finanza e dalla politica del partito democratico nordamericano che ha in Mario Draghi un alleato consapevole e devoto intellettualmente. Machiavellicamente tenta di trasformare la Bce in una succursale della Fed. Il risultato è una caricatura dell’originale, ma con la deflazione e la depressione terribile alle porte meglio le caricature che gli annunci delle tragedie.



La chiamata di Mario Draghi in correo del Parlamento tedesco è un segno delle resistenze che la Germania oppone ancora a questa politica di avvicinamento delle misure monetarie delle banche centrali tra i due oceani. È una battaglia in corso nella stessa Germania e che divide profondamente la Cdu. La Merkel sa che non può che mediare tra le esigenze nordamericane, che sono le esigenze di tutto il mondo civilizzato che non vuole sprofondare nella più grande depressione della sua storia – e ciò accadrebbe se l’Europa si fermasse perché l’Europa è, con gli Usa, ancora il crocevia della crescita mondiale – e le esigenze neo-tacitiane dei suoi elettori teutonici: sono volizioni nazionalistiche e di breve periodo, ma determinanti elettoralmente.



Infatti, anche la locomotiva tedesca soffia nei pistoni della storia della manifattura con meno vigore e già si sentono gli stridii dei freni dei macchinisti delle ferrovie tedesche a fronte dei rallentamenti imposti dalla caduta europea e mondiale della crescita. Quindi anche la Corte costituzionale tedesca ha dovuto stupire tutti coloro che s’intendono di diritto con la sua decisone che è una netta soluzione di continuità rispetto a ciò che sinora ha guidato i suoi giudici: correttissimi e, però, tedeschissimi e pronti a rispondere al richiamo della Heimat (Patria).

La battaglia non è finita. Ma tra le nebbie e la povere da sparo intravediamo, come il protagonista di “Guerra e pace”, gli eserciti che si dispongono per una nuova operazione fratricida tra europei. C’è un’altra battaglia in corso che sta concludendosi con una gigantesca operazione euro-anglosassone, ossia il merger tra Bae ed Eads (un’operazione simile a quella per valore che è in corso tra Glencore e Axtra nel minerario mondiale e che ha tra i suoi demiurghi il consulente d’affari Tony Balir…). Un merger che darà vita al più grande operatore civile e militare aeronautico e sistemista nella difesa, superando Boeing.

Appena Sarkozy è caduto e si son potute superare le resistenze di Dassault, al quale l’ex Presidente francese era così legato, ecco emergere un’operazione che il Ceo di Eads Tom Enders perseguiva da anni, al fine di disintermediare da una subalternità politica asfissiante e “lottizzata tra nazioni” (con la rotazione dei top manager tra Francia e Germania in Eads in una estenuante perdita di efficienza), unendosi all’operatore Uk che ha i più solidi legami con il mercato e il procurement pubblico Usa.

Eads è compartecipata da Francia, Germania e Spagna, mentre Bae è saldamente in mano inglese. I rispettivi governi hanno avuto evidentemente un ruolo decisivo. L’Italia non è stata neppure consultata in un’operazione che cambierà il volto della manifattura europea di alta gamma tecnologica. Eppure Finmeccanica collaborava da tempo sia con Eads sia con Bae con cui possiede Eurofighter, che aveva costruito il Typhoon che purtroppo ha perso l’anno scorso un’importante gara in India a vantaggio dei produttori francesi Dassault, appunto.

La Germania torna in gioco con vigore nonostante l’aspro confronto con gli Usa in corso sul fronte monetario, mentre l’Italia, invece, grazie anche alla mortificazione giudiziaria di Finmeccanica, rende manifesta la sua essenza: l’essere “Paese” subalterno e privo di forza internazionale propria, nonostante la propaganda accurata che si fa sull’autorevolezza provvidenziale e magica del Senatore a Vita Mario Monti.

Il tutto mentre a pochi decine di chilometri dall’Italia si consuma la tragedia dell’assassinio dell’ambasciatore americano a Bengasi in un crescendo d’incapacità nordamericana di saper proteggere i suoi dirigenti che muoiono da eroi. E in un crescendo di un fanatismo sempre più spietato che viene esaltato da operazioni mediatiche per lo meno dubbie o sprovvedute e irrispettose della fede altrui. L’incapacità nord-americana di stabilizzare l’area nord- africana e del Golfo emerge in tutta evidenza.

I sauditi sono preoccupatissimi di come si stanno evolvendo le primavere arabe che vedono sempre più come una diretta minaccia al loro dominio. Infatti, il peso dell’ Iran non diminuisce, ma si accresce e diviene pericolosissimo soprattutto con la divisione tra Russia e Usa in merito alla Siria. L’alleanza nordamericana con la Turchia, che si concretava di fatto nell’annessione geostrategica a quest’ultime della Siria, non riesce a concretarsi e tutto sprofonderà ora in una serie di orrende carneficine. E pensare che da secoli quelle terre sono state governate sempre da guerre e soprattutto da accordi tra le tre grandi potenze culturali dell’area: l’Arabia, la Turchia e la Persia.

Alla storia non si sfugge ed è questa consapevolezza che manca agli Usa. Non ci si può affidare ai Fratelli musulmani senza tener conto di questa longue durée. I salafiti non spuntano dal nulla e i sauditi sono tra i più raffinati diplomatici del mondo.

Di tutto ciò non si parla in Italia. Siamo troppo presi dalle vicende del Pd, del Pdl, di Berlusconi e di Renzi e de grattacapi che ci dà la Merkel. Ma anche sul piano domestico qualche attenzione in più non guasterebbe: chissà se in cambio di aver abbassato la guardia sulla Bce il potere economico tedesco non si prepari ad accedere al potere nelle due banche italiane in cui, come nelle Generali, ha collocato personaggi intelligenti e preziosi per una strategia che segnerà una battaglia importantissima della campagna d’Italia da due decenni in corso tra Germania e Francia per il controllo di ciò che rimane della finanza italiana. Anche qui una più tranquilla ma divorante logica della longue durée…