Mi rendo conto che la mia è una posizione controcorrente, che in questi giorni vanno di moda coloro che sparano a zero su Fiat (anche sulle pagine a pagamento dei giornali) e che sono così sicuri di sé da dare degli “ordini” all’amministratore delegato Sergio Marchionne su quando, dove e cosa deve produrre. Per questo vorrei farvi (idealmente) una domanda. Facendo finta di avere mille euro in banca da investire, preferireste darli a una società che ha un futuro, guadagna dei soldi e li fa guadagnare anche a voi, oppure a una azienda decotta che potrebbe fallire da un momento all’altro? La risposta è scontata. Perché dovreste buttare i vostri soldi dalla finestra? Non è beneficenza è un’altra cosa, perché qui non si tratta di regalare del denaro a chi ne ha bisogno, ma darli, ad esempio, a un’azienda che, magari, cerca di vendere frigoriferi agli esquimesi o caldissimi piumini d’oca ai Caraibi.



Visto che ci siamo, vorrei porvi un altro quesito: secondo voi è più giusto produrre cose che servono alla gente e vengono vendute, oppure cose che non vengono comperate e si accumulano nei magazzini? Qui la risposta non è scontata. Se foste un operaio che produce una cosa che nessuno vuole, vorreste continuare ad avere un posto di lavoro sicuro, almeno finché potete e sareste disposti a lottare per il vostro sacrosanto interesse personale. Ma la società nel suo complesso non dovrebbe avere dubbi: le risorse, anche quelle umane ed economiche, devono essere allocate dove ottengono i risultati migliori perché sono quelli che assicurano lo sviluppo.



Il ragionamento che fa Marchionne segue appunto queste linee e da questi presupposti occorre partire per capire il comunicato di Fiat Group sulla questione di Fabbrica Italia, così come le ultime dihiarazioni dell’ad di Fiat. Marchionne nell’aprile del 2010 aveva promesso 20 miliardi di euro di investimenti e nuovi modelli di auto. Poi il mercato dell’auto in Europa è crollato a livello di trent’anni fa e i nuovi investimenti italiani non saranno più realizzati o verranno dirottati altrove, e le nuove Fiat resteranno, almeno per il momento, nelle matite dei designer. Con il crollo dei mercati europei tutte le case che fanno auto per il grande pubblico hanno cominciato a soffrire di sovracapacità produttiva e a pensare di chiudere impianti: Peugeot-Citroen ha già annunciato di voler chiudere una fabbrica vicino a Parigi con 8 mila dipendenti e il governo francese gli ha suggerito di farlo in Spagna, Renault vorrebbe farlo, ma essendo controllata dallo Stato Francese non può dirlo, Ford sta pensando di fare a meno di un impianto in Belgio, Mitsubishi lo ha fatto in Olanda, Opel ne chiuderà uno in Germania e persino la “campionessa” Volkswagen comincia a ridurre i ritmi di produzione in patria.



La banca svizzera Ubs ha calcolato che i costi dell’eccesso di capacità produttiva nel settore auto europeo ammontano a 7, 4 miliardi di euro. Per questo tutti hanno lo stesso problema e si pongono la stessa domanda che si sta ponendo Fiat: che senso ha investire una marea di denaro per produrre auto che nessuno compra? E non si comprano non perché siano Fiat, siano brutte o fatte male (lasciamo volentieri ai tecnici queste affermazioni), ma soltanto perché sono diminuite le persone che acquistano auto in Europa e in Italia. Le quote di mercato stabili del Lingotto dimostrano che non c’è qualcun altro che va bene, mentre va male solo Fiat. Tutti vanno male perché non vendono e tutti hanno il problema di produrre più di quanto il mercato sia in grado di comprare. In questo caso si possono fare solo due cose: esportare fuori dell’Europa le auto prodotte qui (e non si può dire che Marchionne non ci stia provando), oppure ridurre la produzione facendo massiccio ricorso alla cassa integrazione (che Fiat fa già largamente), chiudendo impianti, vendendoli o dandoli in uso ad altri (il Lingotto sta discutendo con Mazda).

Non c’è altra strada, almeno se la crisi durerà ancora a lungo, come sembra. Alix Partner, una società di consulenza, ha ipotizzato che in Europa si tornerà ai livelli normali solo nel 2020. Un bagno di sangue, in senso figurato, s’intende, per Fiat e per tutti gli altri. Perché, con il calo delle vendite, sono già cominciate le battaglie sui margini e, già oggi, non c’è un solo costruttore che si può vantare di chiudere i conti europei in pari. Immaginiamo che, per un momento, Marchionne dia retta ai suoi detrattori o ai sindacati e investa miliardi per produrre di più e fare nuovi modelli. Chi li comprerebbe? E quanto perderebbe Fiat? Miliardi, che, nel giro di qualche anno, porterebbero l’azienda vicina al fallimento e quindi alla chiusura di tutte le fabbriche in Italia e all’estero.

Perché, allora, potrebbe dire qualcuno, Fiat ha appena inaugurato una fabbrica in Serbia dove produce la 500L?

 

 

La risposta è semplice: i soldi, ovvero i finanziamenti a fondo perduto del governo locale che permetteranno all’azienda di agire sul prezzo di vendita (l’unico fattore che sembra ormai interessare i pochi compratori di auto rimasti) mantenendo dei margini di guadagno decenti. Dal canto suo, Marchionne si fa forte degli 800 milioni di euro investiti nella nuova Panda di Pomigliano e del miliardo nella Maserati.

Detto questo, Fiat lascerà l’Italia? Marchionne dice di no e c’è da credergli. Come potrebbe? Perché suicidarsi? Qui c’è ancora un mercato che per il Lingotto è rilevante. Non decisivo com’era fino a quattro anni fa, ma ancora rilevante. E lo sarà di più tra qualche anno, quando tornerà ai livelli di vendita prima della crisi. Nel frattempo le fabbriche verranno dimensionate rispetto alle effettive necessità. Ma Fiat resterà, di gran lunga, la prima realtà industriale del Paese. Non perché voglia esserlo, ma perché le conviene e non c’è all’orizzonte qualcun altro che voglia prendere il suo posto. Forse, invece di dare dei diktat a Marchionne, bisognerebbe domandarsi come mai nessun altro voglia prendersi carico di Termini Imerese o come mai non ci sia a memoria d’uomo un costruttore di automobili che abbia pensato di insediarsi in Italia per produrre (viene in mente solo Ford che avrebbe rilevato Alfa Romeo e Arese, ma in questo caso più per una questione di concorrenza e di dna motoristico del marchio che per una scelta industriale).