Il Governo ieri ha aggiornato le stime sulla crescita e i conti pubblici per il periodo 2012-2015. Così, senza che vi possano essere più dubbi oppure grandi sorprese rispetto a quello che avevano già scritto molti analisti in tutto il mondo, si nota che anche il nostro Premier tecnico ammette che, al posto di un calo del Pil dell’1,6% (come disse in primavera), nel 2012 ci sarà una contrazione del 2,4%. Nonostante tutte le medicine “amare” che hanno dovuto prendere gli italiani quest’anno, nonostante i raid della Guardia di finanza da Cortina alla Costa Smeralda, nonostante i grandi annunci dopo le riunioni del governo, non solo il Pil non cresce, ma il risultato è più negativo del previsto e il rapporto tra debito e Pil quest’anno toccherà il 126,1%. Nel comunicato del governo, si spiega che al netto dei sostegni erogati ai Paesi dell’area euro, il rapporto si assesterebbe comunque al 122,3%. Tuttavia, il presidente del Consiglio resta ancora fiducioso sulla “luce in fondo al tunnel”. Perché nel 2014, l’Italia dovrebbe risalire dell’1,1%, e nel 2015 dell’1,3%, con un rapporto tra debito e Pil che scenderebbe, nel 2015, al 116,1%. Gli italiani possono stare tranquilli per il prossimo anno. Sarà ancora recessione, perché la lieve risalita dovrebbe portare a una riduzione del Pil di solo lo 0,2%. Anche se il Paese e la sua grande stampa sono tutti concentrati sul “caso Polverini” e lo “scandalo del Lazio”, i dati non riescono a passare inosservati. Preoccupato per questo tipo di situazione economica, per l’andamento della situazione complessiva, è ad esempio il professor Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Che cosa dimostrano questi dati?
Sostanzialmente che sta accadendo quello che si temeva sin dall’inizio. Questa politica economica, tutta basata sull’austerità, non ha di certo salvato il Pil. E se quest’anno è andata come è andata, anche per il 2013 si può parlare di crescita zero.
Ci sarebbero le premesse di una ripresa per il 2014 e il 2015, legate al miglioramento della domanda mondiale e ai recenti provvedimenti varati dal governo.
Ma qui si apre veramente un grande “buco nero”. Mi permetto di dire che queste premesse sono veramente generiche. In questo momento, proprio in questi giorni, arrivano i dati sulla frenata dei paesi emergenti e, soprattutto, su una frenata della Cina. Sappiamo le condizioni dell’area euro, abbiamo visto quale tipo di manovra ha messo in campo la Fed per l’America di fronte a una disoccupazione quasi endemica: come si fa a pensare che nei prossimi mesi, anche nel giro di due anni, ci sia una ripresa della domanda mondiale? I segnali che arrivano sono tutti negativi, sono tutt’altro che incoraggianti. Al massimo, questa premessa a cui è legata una ripresa può essere una grande scommessa.
Si parla anche dei provvedimenti varati dal governo…
Vedo che c’è un elenco di liberalizzazioni e semplificazioni che, nella sostanza, mi sembrano più annunciate che realizzate. Non penso che la riforma del mercato del lavoro, con la rigidità posta sui contratti a tempo determinato, possa essere una soluzione positiva in un momento come questo. Poi ci sono i soliti discorsi sulla burocrazia, sulla lentezza esasperante del processo civile. Non so proprio se tutti questi problemi possono essere risolti nel giro di un anno, che è oltretutto segnato da delle consultazioni elettorali. Anche in questo caso io vedo molta genericità.
C’è poi un impegno da parte del governo. In vista del conseguimento del pareggio di bilancio, nei prossimi mesi l’azione dell’esecutivo si incentrerà sulla riduzione del debito pubblico, dando attuazione agli strumenti creati per procedere alla valorizzazione e successiva dismissione del patrimonio dello Stato, sia degli immobili sia delle partecipazioni pubbliche. Tenuto conto di un ammontare pari all’1% del Pil all’anno.
Qui il problema diventa delicato. L’1% del Pil sono 16 miliardi di euro. Ora, credo che non sia semplice mettere in vendita degli immobili in un periodo in cui il mercato immobiliare è bloccato. Forse bisognava pensarci un po’ prima e poi l’operazione va fatta con ragionevole gradualità e in modo ordinato per non creare magari scossoni controproducenti. Poi ci sono le partecipazioni pubbliche e qui si va a toccare un tasto ancora più delicato. E cioè una ondata di messa sul mercato di alcuni pezzi di produzione dello Stato, che sono più che validi, a prezzo di realizzo. E tutto questo sarebbe poco accettabile e non credo che stimolerebbe la crescita italiana.
(Gianluigi Da Rold)