La Fiat oggi non ha più la rilevanza di un tempo, ma rappresenta comunque una realtà ancora significativa e le scelte che farà avranno un impatto molto esteso. In un mondo in rapidissimo cambiamento, infatti, occorrono nuovi equilibri certamente non facili da trovare. Il test ha quattro attori principali: Fiat, Governo, imprenditori e sindacati. Ecco gli elementi che dovranno considerare.
Fiat. Ha fruito di molti aiuti statali e qualcuno sostiene che dovrebbe ricordarsene e mettere mano al portafoglio per restituire quanto ricevuto. Ma è un modo di ragionare anacronistico, perché propone un passato che non può tornare, ma soprattutto perché non focalizza l’attenzione sull’oggi e sulle modalità concrete attraverso le quali la Fiat può e deve difendere una propria leadership. Se si pone correttamente la domanda, cioè se si chiede a Fiat come può svilupparsi con successo nelle attuali condizioni, l’Italia rappresenta un tassello della risposta del quale sarebbe assolutamente errato privarsi. La scelta, preannunciata da Marchionne, di rimanere in Italia colmando le perdite con i guadagni ottenuti all’estero, non nasce da un atto di bontà o di compensazione, ma da un’analisi di scenario. L’Europa e l’Italia in particolare rappresentano un mercato troppo importante perché vi si possa rinunciare.
Vediamo di capire meglio il posizionamento di Fiat e ciò che possiamo attenderci nel prossimo futuro. Nel settore dell’auto per avere successo occorre fare, simultaneamente, due cose: a) investire in prodotti innovativi aggiornando costantemente l’offerta; b) comprimere i costi. Sono due obiettivi difficili da conciliare. Si potrebbero classificare i vari produttori in base alla loro capacità di conseguire questi due obiettivi. Ma per limitarci al caso Fiat, l’azienda ha deciso di privilegiare l’abbattimento dei costi attraverso una serie di profondi cambiamenti all’interno e la ricerca sistematica di accordi e vantaggi competitivi con altre aziende e/o governi (si veda il caso Chrysler/Usa).
Nel fare questo ha ridotto e ritardato l’uscita dei nuovi modelli anche per fronteggiare il calo della domanda. Così ha perso quote di mercato e aggravato le condizioni produttive degli stabilimenti, arrivando alla conclusione che, in base a puri calcoli di convenienza, occorrerebbe chiudere due stabilimenti in Italia. Una simile scelta avrebbe gravissime ripercussioni ed è il nodo che sta alla base dell’incontro col governo. Oggi l’esecutivo avrà molte domande da porre a Marchionne, così come anche quest’ultimo ne avrà molte domande per l’esecutivo.
A un’azienda non interessa tanto un fattore di costo, ma il costo totale. Anche se il costo del lavoro fosse molto basso ma i trasporti, il denaro, la giustizia, le tasse fossero particolarmente onerosi, non converrebbe produrre in quel Paese. La Fiat deve generare utili e quindi fare auto di qualità a basso costo. Non può farlo se non ci sono le condizioni di producibilità in Italia. Gli Usa hanno garantito un contesto in cui era possibile e conveniente produrre. Marchionne ha accettato la sfida ed è riuscito a fare profitti, a rimborsare il governo e a conquistare quote di mercato. È stato un accordo che ha avvantaggiato entrambi le parti. Si riuscirà a fare qualcosa di analogo in Italia?
Il governo. L’esecutivo del premier Monti deve domandare a Fiat quali sono i piani in termini di investimento, di occupazione, di ricerca e sviluppo, ma deve chiarire cosa può offrire. Un accordo, infatti, richiede sempre impegni vicendevoli a fronte di un obiettivo comune. Vi è già un ampio accordo su molti principi: il governo non deve interferire con le scelte imprenditoriali, ma limitarsi a creare condizioni favorevoli all’impresa; la produttività italiana è molto bassa e occorre innalzarla, premessa indispensabile per un innalzamento dei salari, anch’essi troppo bassi; il cuneo fiscale è eccessivo e occorre ridurre anche la burocrazia e le normative. In sintesi, governo e Fiat sono entrambi d’accordo che ciascuno deve fare la sua parte: il governo deve creare le condizioni favorevoli e la Fiat deve sfruttare al meglio tali condizioni.
Il vero test sarà quello di creare le condizioni per produrre automobili in Italia. L’auspicio è che non solo Fiat ma anche altri vengano a produrre in Italia, finalmente considerato un Paese attrattivo. In questo caso vi sarebbe vera competizione, il mercato funzionerebbe e tutti ne trarrebbero vantaggio. Il caso opposto sarebbe quello di un accordo “particolare” per mantenere Fiat in Italia grazie a sussidi e agevolazioni su misura. In questo caso spenderemmo male i soldi dei contribuenti, lo sviluppo di Fiat sarebbe “drogato” e le scelte dei consumatori penalizzate.
Gli imprenditori. Molti sono rimasti sorpresi dalle reazioni di Diego della Valle e di Cesare Romiti. Al di là di singoli casi, gli imprenditori sentono la frustrazione di vedere troppe cose che non funzionano. Abituati a rimboccarsi le maniche e a risolvere i problemi, vorrebbero cambiare molte cose, non essere complici del degrado generalizzato e accusano la Fiat di non fare sufficientemente da traino per il Paese. La risposta di Marchionne è che per fare da traino davvero occorre rendersi conto di quanto è mutato il mondo, trarne le conseguenze e arrivare a cambiare le condizioni in cui si svolge la produzione. Non può più esistere una contrapposizione ottocentesca tra datore di lavoro e lavoratori, perché sono molto più gli elementi comuni che non quelli di contrapposizione, e per questo devono essere ricercati nuovi equilibri e non difese anacronistiche di modelli ormai superati (come nel caso dell’articolo 18).
Gli imprenditori possono e devono giocare un ruolo importante nel creare ricchezza e nel generare occupazione. Per anni in Italia ci siamo abituati a un’economia troppo assistita e spesso anche gli imprenditori hanno preferito cercare protezioni e appoggi piuttosto che un sano sviluppo. Quando l’economia prosperava hanno spesso preferito chiedere finanziamenti alle banche piuttosto che rischiare il loro capitale; la Confindustria stessa è un ente burocratico attento più al suo automantenimento che a una vera innovazione. Ben venga un vero dibattito e un’assunzione di responsabilità degli imprenditori. Quello di cui non si avverte il bisogno è una polemica su chi abbia ragione e sulla ricerca di capri espiatori per scaricare le colpe.
I sindacati. Molto divisi nei confronti di Fiat e del suo piano “Fabbrica Italia” si stanno ora ricompattando per premere sul Governo e per ottenere garanzie in termini di occupazione ed investimenti. Al di là dei tanti errori e incomprensioni si sta finalmente facendo strada l’idea, lanciata qualche tempo fa da Pietro Ichino, che i lavoratori dovrebbero “assumere” i datori di lavori. Ribaltando lo schema classico nel quale l’operaio è il terminale di un processo che lo vede succube di decisioni prese senza di lui, un sindacato moderno dovrebbe fare in modo che la forza lavoro venga contesa tra diversi richiedenti. Gli imprenditori per guadagnare devono acquisire varie risorse (conoscenze, finanziamenti, materi prime, lavoro, ecc) e devono gareggiare per acquisirle. Gli operai dovrebbero poter optare per il datore di lavoro che non solo li paga meglio, ma che dà più garanzie. In questa logica esiste una forte cooperazione tra le forze presenti sul mercato, alleate nel fornire una soluzione attrattiva. Se le scuole, gli ospedali, le banche, i tribunali funzionano bene i costi di produzione si abbassano e diventa più conveniente, per un’azienda, investire.
Questo dovrebbe essere il terreno di verifica tra Fiat, governo e sindacati, impegnati tutti a migliorare le condizioni produttive e rendere attrattiva la produzione di veicoli in Italia. Sembra un sogno, ma è quello che avviene nei paesi che funzionano. Potrà verificarsi anche in Italia? Potrà la Fiat essere l’apripista per un nuovo modello di cooperazione?