Difficile prevedere un comunicato più generico al termine di un vertice durato cinque ore, di sabato pomeriggio, tra Fiat, primo ministro e altre personalità del governo. In sostanza, la casa automobilistica guidata da Sergio Marchionne può ragionevolmente muoversi secondo i suoi legittimi interessi e il “governo dei tecnici” sta a guardare e ad aspettare. Che cosa c’era d’altro da aspettarsi in una economia di mercato? A parte i “salamelecchi di rito” sulla ritrovata “credibilità del governo” a livello internazionale, che cosa dice il comunicato? “Fiat è intenzionata a riorientare il proprio modello di business in Italia in una logica che privilegi l’export, in particolare extraeuropeo. Il gruppo inoltre ha manifestato piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari delle proprie strutture italiane, quali ad esempio l’attività di ricerca e di innovazione. Fiat ha inoltre confermato la strategia dell’azienda a investire in Italia, nel momento idoneo, nello sviluppo di nuovi prodotti per approfittare pienamente della ripresa del mercato europeo”. In sostanza, finché non avverrà una ripresa della domanda del mercato automobilistico in Europa e in Italia, di investimenti non se ne parla. E il governo? Spiega il comunicato: “Il governo ha apprezzato i risultati che Fiat sta conseguendo a livello internazionale e l’impegno assunto nel corso della riunione a essere parte attiva dello sforzo che il Paese sta portando avanti per superare questa difficile fase economica e finanziaria”. Siamo all’iperbole della genericità, che viene poi ribadita nell’ultimo capoverso del comunicato con la costituzione di un gruppo di lavoro. Il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e grande economista, appare perplesso di fronte al comunicato, ma fino a un certo punto.



Cosa pensa del comunicato diffuso dopo l’incontro?

Mi pare un documento interlocutorio, dove il governo non ha preso alcuna posizione. Quello che si può supporre da questo lungo incontro è che non si è arrivati ad alcun risultato. Del resto non si comprende bene perché la Fiat dovrebbe investire in una situazione di questo tipo sul mercato italiano ed europeo. Mettesse in vendita le Chrysler in Italia, scatterebbe subito qualche raid della Guardia di finanza come a Cortina. Con questa politica non mi pare che al momento sia il caso di andare a investire per acquistare una macchina.



Qual è il nodo della questione che non emerge dalle parole di questo comunicato?

Ritengo che il nodo della questione sia la necessità da parte della Fiat di ristrutturare gli stabilimenti che ha in Italia. La Fiat vorrebbe con tutta probabilità che producessero componenti per le macchine sul mercato americano e anche componenti per la Chrysler da vendere in Europa. Ora, per ottenere tutto questo, la Fiat ha due grandi necessità: la ristrutturazione degli stabilimenti con il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria e nello stesso tempo avere dei contratti di lavoro molto flessibili. Adesso il ministro del Lavoro elimina la Cassa straordinaria e i contratti di lavoro non sono affatto flessibili. C’è quindi una contraddizione tra la politica del governo e le esigenze della Fiat che mi sembra difficilmente componibile.



 

Sostanzialmente lei dice che questo governo ha fatto delle scelte contrarie a quelle che voleva Fiat.

 

Proprio così. Del resto la sensazione che si coglie in questo momento nel Paese è che, a parole, si dice che a tutti interessa che la Fiat debba restare italiana, ma nella sostanza tanti ambienti sembrano interessati a che la Fiat se ne vada. Del resto la Fiat non sta in Confindustria, non condivide lo schema contrattuale che vogliono sia il governo, sia Confindustria, sia i sindacati. Anche alla luce di questo comunicato si vede un percorso quasi tracciato.

 

Scusi, quale tracciato?

 

Io credo che a questo punto, la Fiat non farà altro che aspettare le elezioni, dove con ogni probabilità uscirà vincitore Pierluigi Bersani e il Partito democratico. A questo punto l’impianto fatto da questo governo in materia di mercato di lavoro e di politica d’austerità, resterà tutto in piedi e, a mio avviso, la Fiat se ne andrà, abbandonerà l’Italia.

 

(Gianluigi Da Rold)