A che gioco stia giocando Diego Della Valle non lo so e, quindi, non lo posso spiegare. Posso fare solo delle ipotesi e delle considerazioni. Anche ieri ha sparato ad alzo zero su Fiat come se fosse un uomo politico o un maitre à penser. O un operaio della linea di montaggio. “Questi improvvisati della Fiat” ha detto a un convegno della Bocconi, a Milano, davanti al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera “ci vogliono raccontare perché non fanno automobili in Italia. Se qualcuno viene dall’estero, tipo la Volkswagen, farà belle macchine. La crisi esiste per chi non ha nulla da vendere. Non dobbiamo perdere tempo a sentire dei chiacchieroni che raccontano banalità che possono essere offensive. La Fiat è stata presa con le mani nella marmellata perché se ne voleva andare, con gli uffici stampa che lavorano più degli uffici progettazione“. Perle di saggezza o cattiverie gratuite, lascio a voi giudicare. La vera domanda è perché il patron di un marchio di scarpe (diventato noto soprattutto dopo che sono state indossate da Gianni Agnelli) sale sul pulpito e come un Savonarola si mette ad arringare, facendo uso dei più collaudati luoghi comuni sul Lingotto? Perché non è andato al ristorante, o in Romania a vedere una delle sue fabbriche, o a fare il giro del mondo con il suo yacht insieme, che ne so, a Berlusconi o a Montezemolo? Perché non si è scatenato sulle vicende della moda milanese, non ha chiesto incentivi alle esportazioni di pelletteria e calzature made in Italy, non ha bastonato chi mette il marchio Italia su prodotti realizzati all’estero?



La settimana scorsa se l’era presa con John Elkann e la famiglia Agnelli: “Farebbero meglio” aveva detto Della Valle in diretta televisiva “a dedicarsi alle attività che conoscono bene come sciare, fare passeggiate e giocare a golf. E lascino i problemi dell’Italia alle persone serie“. Chiarissimo, ma perché un privato cittadino, che fa parte, insieme alla famiglia Agnelli, del gotha economico del Paese si occupa di una questione che non dovrebbe riguardarlo neanche da lontano? La risposta più semplice è che Della Valle è stato estromesso dalla gestione della Rizzoli, e quindi dal Corriere della Sera, proprio da quel John Elkann di cui parla tanto male. Una vendetta, dunque. La risposta più fantasiosa è che il produttore di scarpe a pallini voglia ritagliarsi un posto nella disastrata politica italiana ed abbia bisogno di visibilità. La risposta che mi sembra più corretta è che siano venuti meno dei baluardi nell’establishment economico italiano capaci di fare da camera di compensazione tra i vari interessi forti e che, in attesa di un nuovo punto di equilibrio, tutti quelli che possono sono alla ricerca di posizioni di forza.



A chi giova? Forse a Della Valle. Non alla Fiat e neanche al Paese. Perché di certo non contribuisce a chiarire una questione di fondamentale importanza come il futuro industriale di Fiat in Italia. Si butta tutto in rissa. “Non parliamo di gente che fa borse. Io faccio vetture” ha detto Sergio Marchionne a un giornalista. “Dica al suo amico Della Valle che quanto lui investe in un anno in ricerca e sviluppo noi non ci facciamo neanche una parte del parafango. La smetta di rompere le scatole. Il fatto di attaccarsi allo straniero come salvatore dell’Italia è la più grande pirlata che abbia mai sentito in vita mia. Se Volkswagen vuole veramente concorrere, vadano in circuiti di Formula 1 e poi ce la vediamo lì. Loro un grande problema ce l’hanno con la Seat, se lo vadano a risolvere con le loro forze. Non saro’ certo io a deludere quelli che inneggiano ad un intervento della Volkswagen. Per quanto mi riguarda, do loro il benvenuto come produttori in questo Paese e farò tutto il possibile per facilitare il loro ingresso. Ben venga uno stabilimento Volkswagen nel nostro Paese. Ma a quelli tra di voi che sono sul libro paga di Wolfsburg, chiedo gentilmente di ribadire ai vostri proprietari tedeschi un concetto semplice e chiaro: l’Alfa Romeo non è in vendita“.



Botta e risposta. In attesa che ci sia una controrisposta e un’altra e un’altra ancora. A beneficio dei media che hanno qualcosa di leggero da scrivere. Ma il problema non è come mantenere aperta un’azienda in un momento di mercato terribile e senza precedenti? Cosa c’entrano le polemiche personali, le disfide in Formula1, le ripicche, gli insulti ai giornalisti? Certo fanno spettacolo, audience. Divertono di più che una discussione sul downsizing dei motori multiair. O sulla copertura internazionali dei brevetti. Ma sono le discussioni noiose che cambiano il destino delle aziende e dei Paesi. Non le risse da bar.