Quella sorta di strana euforia, che si era diffusa per circa un paio di settimane sui mercati, si è conclusa il 26 settembre con una giornata dai toni veramente autunnali. Le Borse, che proprio negli ultimi giorni avevano cominciato a essere incerte, sono di nuove precipitate al ribasso come nel triste mese di luglio, con Madrid e Milano che hanno toccato minimi intorno al 3,5% e al 4% di perdita. L’eccezione incredibile, meglio dire l’anomalia di questo periodo, è stata Atene, che ha chiuso in positivo, ma che in questo momento è la capitale di un Paese bloccato e in sciopero generale, senza più speranza, perché si sono scoperti nuovi “buchi”, perché persino la celebre “troika” litiga al suo interno e non sa più che cosa fare. Intanto in Spagna si segnalano scontri di piazza durissimi con centinaia di feriti.



È probabile, anche se è sempre problematico dirlo, dato il livello intellettuale di altissima competenza che poi perde il senso della realtà, che anche il mondo della finanza avverta, finalmente, che la recessione sta ormai provocando risvolti sociali che possono diventare drammatici. In Italia si continua con la politica del rigore, naturalmente, con il pareggio di bilancio, con l’avanzo primario, con il Pil che scende, con i consumi che crollano, con la disoccupazione che fa impressione. Di nuovo, la celebre battaglia dello spread, quasi archiviata dopo l’intervento del presidente della Bce, Mario Draghi, ricomincia a spuntare all’orizzonte, con un coefficiente che si è riavvicinato ai 400 punti. James Charles Livermore è un operatore finanziario internazionale, molto riservato e che sa misurare le parole. Bisogna seguire attentamente il suo ragionamento sulla caduta del 26 settembre: «Si è visto sui mercati un fatto anomalo, molto strano. L’asta del Bund tedesco del 25 settembre non è affatto andata bene. In genere, quando non si investe su un bene rifugio, come è diventato il Bund tedesco, ci si attende uno spostamento verso l’azionario. Invece i capitali non hanno fatto neppure questo».



Per quale ragione a suo parere?

Credo che con tutta probabilità, gli investitori, gli operatori finanziari abbiano guardato i dati generali che emergono continuamente sull’andamento dell’economia reale e a questo punto abbiano allargato le braccia e tirato i remi in barca. Del resto che cosa dovrebbero fare? La Confindustria tedesca si riunisce e stila un documento dove si spiega che la crisi sta costando un punto di Pil. La Germania non è abituata a una crescita dello “zero virgola”, ma questa è la realtà che si presenta. Si aggiunga il nuovo buco nei conti della Grecia, poi il crollo dei consumi in Italia e, da ultimo, la Spagna. Spagna che, senza usare mezze parole, si può dire sia arrivata alla soglia del punto di non ritorno. Bene o male le Borse sono il termometro della situazione reale.



Eppure si era riacquistata fiducia dopo la dichiarazione e la decisione del presidente della Bce Mario Draghi.

La mia impressione è che Draghi abbia fatto tutto quello che poteva fare e poi abbia invitato i singoli Stati a operare politiche di rilancio. Ma in realtà, credo che in questo momento non ci sia nessun governo che possa mettere in atto uno straccio di politica industriale. Poi c’è la sfiducia, una sfiducia generalizzata che va di pari passo con l’aggravarsi della crisi nell’ Eurozona.

 

A questo punto non si può nemmeno più parlare del pericolo di nuove manovre della grande speculazione.

 

Mi sembra che al momento la speculazione c’entri poco. Piuttosto c’è il contagio della paura, la sfiducia nel futuro, anche la sfiducia di soluzioni credibili da parte di una Eurozona che non è uno Stato. La crisi è ampia, ma in altri paesi i cittadini sanno che c’è uno Stato unito, qui non si vede un segnale chiaro, una risposta precisa, ma una continua serie di messaggi e segnali confusi. A parte l’operazione messa in atto da Mario Draghi, che cosa si è visto o sentito dalla classe politica europea?

 

Il fatto paradossale è quello di non cercare più neppure il bene rifugio.

 

È una grande anomalia, spiegabile solo con il fatto che le persone non riescono a vedere più alcun potenziale di crescita o di rilancio.

 

(Gianluigi Da Rold)