Ma come, Mario Draghi sfodera il bazooka anti-spread e si dice ottimista per il futuro dell’eurozona e ieri all’ora di pranzo le Borse di Milano e Madrid perdevano il 3%, mentre Parigi e Francoforte erano sotto di oltre il 2%? Di più, il differenziale sia dei Btp che dei Bonos rispetto al Bund era in risalita, con i titoli decennali spagnoli tornati a pagare il 6% di rendimento (già in mattinata Bonos
+33 punti base, massimo da tre settimane, Btp +20 punti base e decennali portoghesi +36 punti base). E i credit default swaps? Portogallo 521 punti base, +46; Spagna 390 punti base, +22; Italia 360 punti base, +25; Germania 56 punti base, +4; Francia 120 punti base, +9; Irlanda 307, +20 punti base.
Proprio sicuri che l’austerity funzioni? Prendiamo il Portogallo e il suo governo, capace di andare ben oltre le richieste avanzate dalla troika in cambio del pacchetto di salvataggio da 78 miliardi di euro e di ottenere il plauso di Wolfgang Schauble in persona. I portoghesi, infatti, hanno dovuto sopportare un pacchetto di riforme dopo l’altro e ingoiare nell’ordine un aumento delle ore lavorative, un taglio salariale del 7%, l’aumento delle imposte e l’erosione delle pensioni, un combinato disposto pari a un strizzata fiscale netta del 10,4% del Pil. Nonostante un recente sondaggio dell’Università Cattolica di Lisbona dimostri come l’87% del portoghesi stia perdendo fiducia nel concetto stesso di democrazia, nel Paese lusitano non si sono conosciuti scioperi o peggio scontri sociali come in Grecia o in Spagna.
L’ultima mossa del governo, però, ovvero l’aumento della tassa sulla sicurezza sociale dall’11% al 18%, non è passata: il Consiglio di Stato l’ha bocciata, portando il capo dell’opposizione di sinistra Bloco de Esquerda, Francisco Louca, a sancire che «il governo è morto». Vero? Falso? Una cosa è certa, la situazione portoghese non ha certo beneficiato dell’atteggiamento prono all’austerity del governo di Passos Coelho: la disoccupazione è al 15,7% (quella giovanile al 36,4%), l’economia si contrarrà del 3,8% quest’anno, del 5,7% l’anno prossimo e dell’1,3% nel 2014. Nonostante questo, il conto corrente del Paese continuerà a essere in deficit. Il crollo sarà tale da far salire e non abbassare il deficit di budget, visto che il calo delle entrare fiscale annullerà i “benefici” dei tagli.
Per Citigroup, il deficit sarà al 5,1% del Pil quest’anno, del 4,9% l’anno prossimo e del 5,4% nel 2014. Un disastro per le dinamiche del debito, visto che la ratio debito/Pil l’anno prossimo toccherà il 134%: ovvero, il punto di non ritorno che richiederà una ristrutturazione in stile greco. Anzi, peggio, visto che il debito totale del Portogallo è del 360% del Pil, mentre quello greco è del 260% e la posizione di investimento internazionale del Paese è in rosso per il 90% del Pil.
Che fare, quindi? Il ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, intendeva giungere a una svalutazione interna come quella in atto in Lettonia, anche se il combinato di debito pubblico/privato del Portogallo è ben peggiore di quello del Paese dell’Est e sta peggiorando rapidamente a livello di contrazione della base del Pil nominale. L’accusa che viene mossa verso questa politica è quella di essere friedmaniana, ovvero da Chicago Boys: magari, a occhio e croce, Friedman avrebbe consigliato al Portogallo di chiamarsi fuori subito dall’unione monetaria e riattivare gli strumenti sovrani.
Ma tant’è, il piano di “svalutazione fiscale” per migliorare la competitività è stato bocciato, nonostante avesse dovuto essere inserito nel Budget 2013 da approvarsi entro metà ottobre al fine di ottenere i 4,3 miliardi di euro di nuova tranche di aiuti. «Se mettiamo a rischio il nostro programma di aggiustamento, la garanzia di supporto esterno al nostro Paese cessa di esistere», ha minacciato Passos Coelho, senza però ottenere i risultati sperati. Ma cosa voleva fare il governo? Nulla più che replicare la svalutazione della moneta attraverso una significativa riduzione dei costi del lavoro per le imprese, il tutto da compiersi attraverso il taglio dei contributi alla sicurezza sociale per le aziende per quattro anni per il corrispettivo di un 3-4% di output economico, finanziando il tutto attraverso tagli di spesa e aumenti “calibrati” delle tasse: sapete quali? L’Iva! Certo, abbassare i costi per le aziende è fondamentale per recuperare competitività, ma far pagare il conto ai lavoratori in un contesto come quelle portoghese è assolutamente folle: non si può intervenire sull’aumento fisso dell’unità di costo del lavoro in un contesto di recessione destinata a peggiorare da qui al 2014. Va bene la brutalità ma c’è un limite, tanto più che il costo dell’unità di costo del lavoro sta scendendo in maniera continua dal 2010 a oggi, quest’anno addirittura del 4,5% proprio per l’aggravarsi della recessione.
Vuoi dire che le Borse crollano per il Portogallo? No. O, almeno, non direttamente. Il problema sostanziale è sempre e solo Madrid, ma il fronte, questo sì, non è interno, bensì esterno: ovvero, l’esposizione monstre delle banche iberiche verso il Portogallo e i sempre crescenti timori che Lisbona segua l’esempio greco della ristrutturazione e o si trovi costretta ad aumentare il volume degli aiuti internazionali. Se si dovesse arrivare a uno swap come per Atene, cosa ne sarebbe delle banche iberiche esposte per 78,8 miliardi di euro verso Lisbona? Uno shock totale, anche se ovviamente non tutti questo soldi sarebbero bruciati da una ristrutturazione del debito lusitano: per tamponare quelle perdite, le banche avrebbero bisogno di altri soldi e da chi, visto che il mercato le ha di fatto tagliate fuori? C’è solo la Bce.
Il fatto è che se tutto andasse nel verso sbagliato, ovvero banche da ricapitalizzare e da proteggere da un default lusitano, il conto per la Spagna salirebbe a 250 miliardi di euro, il 17,7% del Pil spagnolo. E, anche con uno scenario migliore rispetto alle perdite sul Portogallo, il conto inciderebbe talmente sul Pil da necessitare, per forza, di aiuto internazionale immediato e di volume ben superiore a quello di cui si parla in questi tempi.
Parliamo ancora di cifre accettabili, visto che sia Portogallo che Irlanda hanno ottenuto piani di salvataggio pari al 45% del loro Pil, ma nel suo report Citigroup è chiara: «Con buone possibilità, la Spagna sarà spinta verso un programma di aiuto della troika già durante il 2012, quasi certamente a causa dell’incapacità di ottenere accesso ai mercati del finanziamento a condizioni accettabili. È probabile che per ottenere l’accettazione di un piano di aiuti-controllo, la Bce vincoli il suo continuo finanziamento delle banche iberiche, pressoché uniche acquirenti di debito sovrano, al sì incondizionato di Madrid».
Insomma, il combinato disposto di salvataggio di Portogallo e Spagna sarebbe di circa 350-370 miliardi di euro. Così composto: 26,6 miliardi per ricapitalizzare le banche in base alle richieste dell’Eba, 50 miliardi di riserve richieste dal governo alle banche, extra-riserve su assets a rischio 41 miliardi di euro, salvataggio delle sole banche spagnole 174 miliardi ed esposizione delle banche spagnole al Portogallo 78,8 miliardi. Quindi, la prima voce di spesa sarebbe legata al salvataggio del sistema bancario spagnolo più il backstop sulle esposizioni e sarebbe approssimativamente di 250 miliardi di euro, mentre la seconda che conterrebbe anche il quasi contemporaneo secondo piano per il Portogallo farebbe salire il conto per Ue e Fmi a 350-370 miliardi di euro.
Della traiettoria greca di Madrid, poi, sono certi anche alla Carmel Asset Management, il cui ultimo report parla molto chiaro. Primo, il debito pubblico reale della Spagna è più grande del 50% rispetto ai numeri ufficiali, passando almeno dal 60% a oltre il 90%, calcolando anche quello regionale. Secondo, il prezzo degli immobili scenderà di un ulteriore 35% e non del 15% stimato, dato che non solo peserà sui bilanci bancari, ma che significherà due punti in meno di Pil per i prossimi due anni. Terzo, una volta che le banche spagnole smetteranno di imbellettare i dati dell’esposizione al real estate (2,8% ufficiale contro l’11% stimato dalla Carmel nel suo studio), il loro stato di sottocapitalizzazione diverrà una headline globale sui mercati. Quarto, nonostante le molte parole, l’Europa non ha un firewall abbastanza grande per salvare la Spagna, visto che le necessità di rifinanziamento di Madrid solo nel 2012 sono pari a 186,1 miliardi di euro. Infine, lo stigma: i prestiti della Bce alle banche spagnole a marzo sono saliti a quasi 400 miliardi di euro, un dato quasi triplicato rispetto ai 169,8 miliardi di febbraio e che vede la liquidità della Bce pesare ormai per il 9% degli assets dell’intero sistema bancario spagnolo, percentuale molto vicina al 10% dei già falliti Grecia, Irlanda e Portogallo.
Insomma, le Borse hanno tutto il diritto di sprofondare, portate a fondo dai titoli del settore bancario, il più esposto ai marosi obbligazionari sovrani. E a rendere ancora più serio l’aumento degli spread italiano e spagnolo di ieri ci ha pensato l’asta tenutasi ieri mattina in Germania. Berlino, infatti, ha collocato 3,191 miliardi di euro di Bund scadenza settembre 2022 con un rendimento medio all’1,52% dall’1,42% dell’analoga asta del 5 settembre scorso. La Bid-to-cover ratio è stata di 1,2 da 1,1 precedente, ma le richieste sono state pari a 3,951 miliardi contro un’offerta di 5 miliardi: insomma, l’asta di titoli al settembre 2022 risulta quindi “tecnicamente non coperta”, esattamente come quella del 5 settembre scorso. E sapete perché? Perché sono le banche tedesche, con un’esposizione di 117 miliardi di euro, le più a rischio sulla crisi del debito spagnola, seguite dalla Francia con 92 miliardi davanti agli istituti di credito britannici e americani. Le banche italiane sono invece esposte per poco più di 20 miliardi di euro.
Insomma, il placebo della Bce ha già terminato il suo effetto. E certamente non ha aiutato le Borse il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, il quale ha assicurato che chiederà aiuti ai partner Ue «al 100%, se i tassi di interesse sul debito spagnolo resteranno a un livello elevato troppo a lungo». In un’intervista al Wall Street Journal, Rajoy ha precisato che «al momento» non può pronunciarsi sulla richiesta di aiuti all’Europa, aggiungendo che bisognerà vedere se le condizioni legate al salvataggio si dimostreranno «ragionevoli».
Insomma, siamo alla roulette russa, quindi occorrerà togliere la pistola dalle mani di Rajoy il prima possibile se non vogliamo che la situazione degeneri con l’arrivo dell’inverno. I dati, d’altronde, parlano chiaro: «La Spagna è rimasta in recessione nel terzo trimestre, con un Pil che continua a scendere a un ritmo significativo». È quanto ha stimato la Banca centrale di Spagna, le cui previsioni sono generalmente confermate dalle cifre ufficiali: «I dati disponibili per il terzo trimestre dell’anno suggeriscono che il Prodotto interno lordo ha continuato a scendere a un ritmo significativo, in un contesto di tensione finanziaria sempre elevata», ha indicato l’istituto nel bollettino mensile.
E a Madrid si comincia a fare sul serio in piazza, esattamente come accaduto ieri ad Atene: attenzione, più che preoccuparsi delle Borse che crollano, tra poco potremmo doverci preoccupare della comparsa di pistole nelle piazze europee, se si continuerà a dare retta unicamente alle ricette della troika e non si farà come in Germania, dove ieri è stato presentato un disegno di legge per regolamentare il trading ad alta frequenza.
Credete pure a Draghi se volete, credete a Monti e al suo ottimismo d’Oltreoceano, nel frattempo il Titanic si sta inabissando. E le strade bruciano. Finché è la Catalogna a chiedere indipendenza, si può cercare di mediare, attenzione ai Paesi Baschi però. Geofinanza allo stato puro.