“Il grande imbroglio non è il governo tecnico. Il grande imbroglio è l’euro. La moneta unica dietro cui non è stata messa una banca centrale vera. Il fiscal compact esprime in sé le idee di una politica imposta dalla Germania, Paese egemone, che dovrebbe essere Paese solidale e che invece ha rifiutato questa solidarietà. E se ad andare via dalla zona euro fosse la Germania non sarebbe una tragedia”. Queste le parole di Silvio Berlusconi, durante la presentazione dell’ultimo libro di Renato Brunetta. Mi pare che il grande imbroglio si consumi di nuovo. E si tratta dell’imbroglio della menzogna. Ovviamente la menzogna prende piede dove alberga la smemoratezza. La memoria è la grande nemica della menzogna. E allora proviamo noi a ricordare quanto è successo, come siamo arrivati a questa crisi, com’è scoppiata questa crisi. Magari viene pure qualche idea sul perché questa crisi non passa, e cosa fare per superarla davvero.
La crisi per l’Italia nasce come conseguenza del divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia nel 1981. Di fatto, la Banca d’Italia smise di comprare i titoli di stato italiani, lasciando che l’acquisto, e quindi il prezzo e il valore dell’interesse, fossero determinati dal “libero mercato”. Ma tale mercato non era e non è tanto libero, essendo di fatto riservato a pochi utenti qualificati; a tali pochi utenti è sufficiente mettersi d’accordo per spuntare un prezzo sempre più conveniente per loro. E sconveniente per lo Stato. Tale passaggio storico è spiegato molto bene nel volume di Nino Galloni Chi ha tradito l’economia italiana?, edito da Editori Riuniti. Riassumo con un grafico (riportato a fondo pagine) i dati presentati in quel libro, poiché tutti sappiamo bene che un’immagine rende più di mille parole.
Il grafico di cui voglio parlare valorizza a 100 il debito nel 1950, e su questo calcola il tasso di interesse netto, cioè il tasso di interesse meno l’inflazione. Come si può vedere, la variazione del debito, cioè la velocità di crescita del debito dovuta al tasso di interesse reale (e non a nuovi debiti) è stata sotto controllo fino al 1980. Addirittura, tra il 1970 e il 1980 il debito dovuto agli interessi è diminuito, poiché l’inflazione era superiore al tasso di interesse. Come è ovvio, l’inflazione favorisce chi è indebitato. Da allora, il peso del debito dovuto alla crescita incontrollata degli interessi è sempre aumentato. Il vero problema dopo il 1980, evidenziato dal grafico, è che si è perso il controllo sulla dinamica di crescita del debito nel tempo. Sembra che ci sia dimenticati di una regoletta molto semplice ma essenziale: il debito cresce nel tempo.
Ormai non serve più evitare di fare nuovi debiti, poiché sono gli interessi a rendere insostenibile il debito. Modestamente, lo avevo detto e scritto due anni e mezzo fa, quando si iniziò a parlare di soccorrere la Grecia: dicevo che è inutile tentare di salvare la Grecia, poiché l’unico destino inevitabile è il default, se non si cambia sistema monetario. Alla Grecia finora abbiamo prestato oltre 130 miliardi, ma i problemi non sono passati, mentre la condizione sociale dei greci è peggiorata decisamente e si parla di nuovi prestiti per evitare il default.
Nel frattempo, l’Italia ha messo al governo un professore che giusto un anno fa andava in televisione a dire che “dobbiamo celebrare il grande successo dell’euro, e qual’è la più grande manifestazione del più grande successo dell’euro? La Grecia!”. Questo è il professore che il centrodestra ha sostenuto fino ad oggi. E questo è il professore che, a quanto pare, il centrodestra si prepara a sostenere, dopo aver perso le elezioni, insieme al centrosinistra, che, pur vincente alle elezioni, si scoprirà troppo debole per mantenere un governo con un sufficiente margine di sicurezza.
Ora ci accorgiamo che “la Germania non è stata solidale”? Va bene, ma questa è l’Europa dell’euro e delle banche centrali, non l’Europa dei popoli. Hanno voluto fare l’Europa unita solo per la moneta, con decisioni politiche e passando sopra la testa dei popoli. Quando si sono accorti che i popoli non avrebbero mai approvato questo tipo di Europa, allora hanno smesso di chiedere il consenso dei popoli tramite i referendum. E ora ci si lamenta che “la Germania non è stata solidale”?
La realtà è che se si pensa davvero che “la Germania può uscire dall’euro, non sarebbe un dramma”, allora è già finita l’Europa. Potrebbe essere tutto, potrebbe diventare un’unione anche più solidale, ma per la Germania vale lo stesso discorso che vale per la Grecia: senza di loro (come senza l’Italia o la Spagna) non possiamo più chiamarla Europa.
Berlusconi afferma che dietro l’euro ci vuole una “vera banca centrale”. Vero, ma ancora prima ci vorrebbe una “vera moneta”. E una vera moneta, come tutte le monete quando sono vere, si basa prima di tutto sulla fiducia. Quindi deve preesistere un popolo, una concordia sociale, una solidarietà diffusa, un sentimento di fiducia generalizzato. Se manca questo ambiente, se manca questo humus ideale all’interno del quale la piantina della moneta può crescere rigogliosamente, nessuna moneta calata dall’alto potrà mai affermarsi o sopravvivere alla mancanza di fiducia.
Del resto, lo vediamo con i nostri occhi e lo sperimentiamo nella vita quotidiana: nei mercati finanziari sono presenti migliaia di miliardi di euro, tutti queli creati dalla Bce e dal sistema bancario in genere; mentre nell’economia reale (e chi è libero professionista ne fa una dolorosa esperienza) c’è una cronica mancanza di euro.
Sembra di sentire riechieggiare le parole di Peguy: “Mai si era visto tanto denaro scorrere verso il piacere, e il denaro rifiutarsi sino a tal punto al lavoro”. Ormai la moneta euro non è più una vera moneta, ma sempre più un prodotto finanziario, fin dalla nascita, quando nasce come un debito, iscritto tra i passivi, nei bilanci delle banche centrali. Se fosse vera moneta, l’euro dovrebbe andarsi a conquistare nell’economia reale la fiducia di cui ha bisogno per poter sussistere, magari confrontandosi concorrenzialmente con altre monete, monete nazionali o monete complementari locali. Hanno voluto imporre a tutta l’economia il libero mercato, ma i signori dell’euro hanno rifiutato di misurare la bontà dell’euro come moneta mettendola in concorrenza sullo stesso territorio con altre monete, cancellando a suo tempo le monete nazionali.
Le “monete complementari”, quelle sì che sono vere monete: non hanno un sostegno o un appoggio istituzionale, né politico. Non godono del corso forzoso, ma si conquistano la fiducia sul territorio, nell’economia reale. E c’è un buon motivo se i sistemi di scambio di tipo barter (monete complementari di tipo a credito commerciale) sono in grande espansione in tutto il mondo. Lo annuncia Harvard Business Review, nel suo blog ufficiale, commentando i dati sorprendenti forniti da Irta, associazione non profit che riunisce tutte le principali esperienze di moneta complementare che favoriscono lo scambio commerciale tra aziende e altre alternative ai sistemi capitalistici.
I dati sono davvero impressionanti: nel 2011 oltre 400mila aziende nel mondo hanno guadagnato 12 miliardi di dollari, usando sistemi di scambio per vendere beni o servizi non utilizzati. Beni o servizi non utilizzati per mancanza di disponibilità di moneta ufficiale in mano a potenziali acquirenti.
Ma questi dati impressionanti non sono una sorpresa, almeno per l’Italia. Il leader di quello che può essere chiamato “baratto multilaterale tra aziende” è la bresciana BexB. Come si legge in un loro recente comunicato stampa, “il network fondato nel 2001 conta 2.600 aziende associate di tutta Italia attive in 160 settori merceologici. In oltre 11 anni le aziende hanno intermediato oltre 200 milioni € per 69.600 transazioni tramite l’utilizzo della moneta complementare EuroBexB” ovvero l’unità di conto che regola le transazioni in compensazione all’interno del circuito; si tratta di numeri molto interessanti, soprattutto perché il mercato italiano è costituito prevalentemente da Pmi e meno si presta alla realizzazione di volumi e massa critica sufficienti a ottenere un mercato in compensazione efficiente come quello americano.
Sarà il caso che quanto prima pure la politica torni a occuparsi di quello che già accade nell’economia reale, nella vita reale di tante persone concrete. Magari cercando di difendere e promuovere le esperienze più positive. Potrebbe pure venire l’idea di applicare il principio di sussidiarietà, tanto promosso pure a livello europeo, al sistema monetario. Che ci sia una moneta continentale per le aziende di livello continentale va benissimo. Ma allora devono esserci anche monete regionali o nazionali, che sostengano le necessità di scambio commerciale di imprese di livello regionale o nazionale.