Dopo che il Governo italiano ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita del Pil, in un anno caratterizzato da un aumento della pressione fiscale, in questi giorni anche Francia e Spagna (che non hanno certo economie in espansione) sembrano pronti a dar vita a pesanti interventi all’insegna dell’austerità. Madrid, anche per far fronte alle pressioni dei mercati, pensa a provvedimenti per 40 miliardi di euro, mentre Parigi si “limiterebbe” a poco meno di 37. Inutile dire che oltre ai tagli si userà molto la leva fiscale, alzando le tasse. A vedere questo quadro vien da pensare che forse sui tavoli dei governi europei non è mai giunto l’ultimo studio del Niesr, l’Istituto di ricerca economica e sociale inglese, sull’andamento del Pil. Secondo il più antico ente di ricerca indipendente della Gran Bretagna, infatti, l’inasprimento fiscale non va perseguito durante i momenti di stagnazione dell’economia reale, ma quando essa è in crescita. Altrimenti i governi, adottando misure che mirano a far rientrare il deficit pubblico, rischiano di causare effetti devastanti sulla disoccupazione nel lungo periodo. Specialmente per i giovani. Per provare a capire quali sono i rischi recessivi e gli effetti sulla disoccupazione causati dalle pratiche di consolidamento fiscale, se adottate in periodi negativi per l’economia come è l’attuale, ilsussidiario.net ha intervistato il direttore del Niesr, Jonathan Portes, che dice: «Meglio il consolidamento ritardato». E lanciando un appello agli esecutivi chiede «più iniziativa, comprese politiche attive sul mercato del lavoro, per esempio nel sostegno alla ricerca del lavoro, e sussidi ai salari, specialmente per i giovani».



Può descriverci i principali risultati del vostro studio relativo all’impatto sul prodotto e sulla occupazione del Regno Unito derivante dalle diverse alternative di consolidamento fiscale?

Nel nostro studio mettiamo a confronto tre scenari: il piano di consolidamento fiscale attuato dal governo, lo stesso piano, ma con applicazione posposta di tre anni, e nessun piano di consolidamento. Come ci aspettavamo, il modello dimostra che non fare nulla non è una soluzione e il nostro scenario di non intervento fiscale porta a rapporti di debito insostenibili. Quindi, era necessario affrontare costi in termini fiscali: sia nello scenario “consolidamento immediato”, sia in quello di “consolidamento ritardato”, il necessario aumento di tasse e le riduzioni nella spesa portano a una diminuzione della crescita e a un incremento nella disoccupazione. Le nostre stime, tuttavia, indicano che l’impatto sarebbe stato inferiore e di durata più limitata nel caso di consolidamento dilazionato fino a tempi più normali.



I dati consigliano quindi di evitare un rigore eccessivo.

Nel primo scenario, rispetto al secondo preso in considerazione, la perdita cumulata sul Pil nel periodo 2011-2021 ammonta, a prezzi 2010, a circa 239 miliardi di sterline, pari a circa il 16% del Pil 2010. Anche la disoccupazione è considerevolmente più alta e per più tempo, ancora un 1% perfino nel 2019, dato che l’impatto dura da 2 a 4 anni più a lungo nel caso di stretta fiscale durante la depressione. Lo studio dimostra, quindi, che è necessario ridurre deficit e debito, e i relativi costi sono inevitabili, ma il timing con cui ciò viene effettuato è importante ed è molto meglio farlo durante periodi di crescita del Pil che non quando l’economia è già stagnante.



Dal vostro studio si possono trarre suggerimenti in riferimento alla politica attuale del governo inglese?

Lo studio esamina il passato, non il futuro, ma suggerisce che il risultato sarebbe stato migliore se il governo avesse ritardato il consolidamento fiscale. Il governo dovrebbe tornare su alcuni dei tagli fatti agli investimenti nel settore pubblico, prendere misure in favore dell’edilizia, incrementare i programmi per affrontare la disoccupazione giovanile e prendere in considerazione una riduzione temporanea dei contributi per il sistema di previdenza nazionale.

E per quanto riguarda le politiche della Ue e in particolare il fiscal compact?

Le misure per assicurare la solvibilità nel lungo termine sono essenziali. Tuttavia, per quanto riguarda Spagna e Italia, cercare di raggiungere arbitrari obiettivi di deficit a breve, come proposto dalla Commissione europea, è probabile che diventi controproducente per la sostenibilità a lungo termine. Per esempio, la posizione fiscale a lungo termine della Spagna è relativamente forte, però, perché possa essere mantenuta, occorrono livelli soddisfacenti di crescita economica e riforme strutturali, specialmente riguardo il mercato del lavoro. Queste riforme saranno meno costose e più efficaci, sia politicamente che economicamente, se la stretta fiscale sarà più rallentata. C’è poi un altro errore da evitare.

Quale?

Questa non è primariamente una crisi del debito sovrano in pochi Paesi. Se, per alcuni Paesi, si parte da questa premessa, per essi la principale necessità diventerà una stretta fiscale sul breve termine, e ciò sarà pericoloso sia per questi Paesi che per l’area dell’euro nel suo complesso. Le implicazioni politiche per l’Eurozona nel suo insieme – politica monetaria lassa, azioni per ricapitalizzare e salvare le banche, coordinamento e politiche fiscali, contemplando anche politiche fiscali più libere nei Paesi meno vulnerabili – sono ovvie e lo sono da diverso tempo.

 

Un punto centrale nel vostro studio è quello riguardante le conseguenze sulla disoccupazione a lungo termine. Potrebbe illustrare questo argomento più in dettaglio?

 

Periodi estesi di depressione ed elevata disoccupazione possono avere implicazioni di lungo termine sulla capacità produttiva dell’economia. Una serie di meccanismi possono essere responsabili di questi effetti di isteresi e includono minori capitali investiti, cessazione anticipitata degli investimenti, ridotta ricerca di lavoro da parte dei disoccupati da lungo tempo con conseguente ridotta pressione salariale, effetti negativi sui giovani lavoratori, che incontrano difficoltà nell’iniziare una carriera lavorativa, e cambiamenti nella mentalità manageriale. In particolare, l’incidenza della disoccupazione di lungo termine può ridurre la spinta al ribasso dei salari, conseguente a un tasso elevato di disoccupazione generale, portando così a un effetto d’isteresi sulla disoccupazione, cioè prolungandola anche dopo che la crisi è cessata.

 

A suo parere, i governi stanno operando efficacemente contro gli effetti negativi della disoccupazione di lungo termine?

 

No, è necessaria molta più iniziativa, comprese politiche attive sul mercato del lavoro, per esempio nel sostegno alla ricerca del lavoro, e sussidi ai salari, specialmente per i giovani.