Ad occhio, i dati indicati dalle stime dell’Ocse sono preoccupanti. Dopo un’analisi esperta, poi, si scopre che effettivamente lo sono. Riassumendo: nel rapporto “interim assessment” relativo ai paesi del G7, si evince come l’Italia sia quello messo peggio. L’istituzione internazionale con sede a Parigi, infatti, ha rivisto al ribasso le stime sul Pil italiano del 2012, abbassandolo a -2,4% dal precedente -1,7%. Cifre molto meno ottimistiche di quelle ufficiali, fornite dal governo, secondo cui, quest’anno, il calo dovrebbe limitarsi all’1,2%. Ebbene: il primo elemento di preoccupazione, spiega a ilSussidiario.net, professore di Economia politica alla Cattolica di Milano, «consiste nel fatto che l’Ocse gode di autorevolezza come poche altre istituzioni al mondo e le sue proiezioni, in genere, sono assolutamente attendibili». Ecco quali potrebbero essere le conseguenze immediate: «temo che il governo, per far fronte alla situazione, riterrà indispensabile procedere con ulteriori interventi, inasprendo ancora una volta l’imposizione fiscale. Un rischio del tutto da scongiurare, dato che l’eventualità non farebbe altro che esasperare la stretta recessiva». Gli occhi, quindi, sono puntati sul direttivo di oggi della Bce. «C’è da sperare che Draghi dia una chiara indicazione di marcia, capace di ridurre significativamente lo spread. Il che permetterebbe, grazie ad un cospicuo risparmio sugli interessi dovuti sul nostro debito, di accantonare risorse per i prossimi tempi, più bui del previsto». Secondo Marseguerra, la misura in assoluto più auspicata non sarà implementabile. «Non ci sono le condizioni politiche perché acquisti illimitatamente bond. La Germania non glielo permetterebbe. Sarebbe, tuttavia, sufficiente, che effettuasse acquisti mirati, senza necessariamente doverne specificare la quantità. Il che potrebbe essere sostanzialmente – seppur non pubblicamente – accettato dalla Mekel». Una volta create le condizioni per poter varare interventi volti alla crescita senza l’assillo degli interessi sul debito, ecco cosa fare: «l’ideale sarebbe varare politiche di interventi a sostegno delle infrastrutture, del lavoro e delle famiglia, considerando il fatto che la domanda interna, ormai, è esangue».



Ciò non implica, necessariamente, l’adozione di politiche Keynesiane. «Escluderei interventi di spesa pubblica tradizionale. Occorrono, invece, misure di partnership pubblico-privato o strumenti quali gli Euro Union Bond, che abbiano carattere strutturale e la capacità di far ripartire l’economia. Sarebbe, infine, necessario razionalizzare il sistema dei finanziamenti europei destinati alla crescita, molti dei quali sono fermi o bloccati da anni per il semplice fatto che, spesso, ha facoltà di avvalersene ignora la loro esistenza». 



 

(Paolo Nessi)

Leggi anche

SCENARIO PIL/ Pnrr e industria, le sfide del Governo per scansare la crescita zero