Il potere d’acquisto delle famiglie italiane in nove mesi è calato del 4,1%. E’ quanto emerge dai dati Istat, secondo cui la disponibilità ai consumi si è ridotta dello 0,1% tra il secondo e il terzo trimestre 2012 e del 4,4% confrontando il terzo trimestre 2012 con lo stesso periodo del 2011. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Giancarlo Rovati, docente di Sociologia generale all’Università Cattolica di Milano.
Professor Rovati, ci aiuti a circoscrivere il significato di questi dati al di là dei facili allarmismi cui si potrebbero prestare …
L’Istat ha resi noti i dati trimestrali sui risparmi e i consumi delle famiglie. E’ quindi una fotografia che non riguarda l’intero anno, ma il terzo trimestre 2012 che va da luglio a settembre dell’anno scorso. Non dobbiamo quindi commettere l’errore di confondere questa fotografia con quella del mese di gennaio 2013. In questo momento potremmo andare un po’ peggio, oppure un po’ meglio. A quali cause è imputabile il crollo dei consumi? Nel 2012 gli italiani hanno versato 24 miliardi di euro per l’Imu. E’ difficile pensare che i consumi abbiano potuto espandersi, in una situazione di recessione economica, stagnazione degli stipendi e aumento delle tasse. Perciò la questione è quanto incida sulla recessione il problema della finanza pubblica, del suo riequilibrio e dell’aumento delle tasse, a cui non è stata affiancata alcuna misura di rilancio economico. I conti dell’Istat sono la fotografia degli effetti di una crisi generale, ma anche della cura che si è introdotta per uscire dalla crisi, o meglio per contenerne l’ampliarsi.
Quali prospettive vede per il prossimo futuro?
Oggi ci troviamo in una campagna elettorale in cui nessuno ha il coraggio di dire che l’Imu è stata votata anche dal suo partito. Tutti dicono che diminuiranno le tasse, ma anche questo mi sembra un gioco dell’inganno. Ciò che non ci viene detto, a fronte di questo, è dove si ridurrà la spesa pubblica. Minori tasse equivalgono a minori introiti per le casse dello Stato, e dunque la necessità di tagliare sulla spesa. Legherei quindi questo discorso sulla recessione dei consumi alle politiche di gestione della crisi finanziaria dello Stato, e del sistema di tassazione introdotto. Quest’ultimo peraltro come ha detto la Commissione europea non ha caratteristiche di progressività rispetto al reddito, ma colpisce in modo pesante tutti i redditi, producendo un impoverimento relativo dei redditi medio-bassi. Sono questi ultimi a determinare gran parte della spesa per consumi degli italiani.
Quali sono le conseguenze del crollo dei consumi?
Le famiglie sono costrette a rivedere il loro paniere di consumi e il loro stile di vita. Ciò si traduce in una riduzione dei consumi e in una ricerca di beni a minor costo. Per quanto riguarda gli alimentari ciò vuol dire uno spostamento degli acquisti su prodotti di minor prezzo e qualità, per i capi di abbigliamento vuol dire puntare sui saldi, per gli acquisti di beni durevoli come le automobili significa rinviare la sostituzione del proprio mezzo, per quanto obsoleto. Ciò si lega anche alla contrazione fortissima del settore automobilistico o degli elettrodomestici. Entrambi hanno infatti costi più alti, ma anche la possibilità di differirne l’acquisto a tempi migliori. Dietro a questo dato sul potere d’acquisto si sta muovendo una riorganizzazione delle strategie di spesa familiari, cui corrisponde poi una necessaria riorganizzazione anche delle strategie di coloro che producono i beni.
Fino a che punto ciò corrisponde anche a una riduzione del benessere?
Di per sé la diminuzione del potere d’acquisto comporta una compressione dei consumi in volumi, e a strategie di risparmio laddove si ha a che fare con i beni necessari. Alcuni di questi ultimi riguardano bisogni di base, come gli alimentari, le spese per l’alloggio e quelle per le utenze. Tutto ciò sta aumentando come peso sul reddito disponibile, a svantaggio di forme di consumo che andavano più nella direzione della cura di sé, di una maggiore attenzione alla propria salute e al proprio benessere. Ciò nel tempo abbassa la qualità della vita, al di là dell’aspetto economico, anche in termini di benessere.
(Pietro Vernizzi)