«Nessuna scalata in corso su Mps», è il messaggio che il presidente e l’amministratore delegato della banca senese, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, hanno portato ai vertici della Fondazione giovedì nel corso di un incontro riservato in vista dell’assemblea sui Monti-bond (prevista per il 25 e 26 gennaio). Siena non crede che ci sia una regia nascosta dietro gli acquisti massicci di azioni che anche la scorsa settimana hanno messo a segno un +11,5% con il 28,93% del capitale passato di mano (oltre 3 miliardi di pezzi in totale) in cinque sedute e il titolo che ormai sfiora i 30 centesimi. Nessuna regia occulta dietro il rally del titolo, quindi, e nessun tentativo di scalata. «Gli acquisti sono normali perché con il calo dello spread è tornata la fiducia degli investitori nella banca», ha detto all’agenzia MF-Dowjones una fonte vicina alla vicenda.



Solo due giovedì fa, prima che partisse il rally, la capitalizzazione della banca senese era pari a 2,698 miliardi di euro circa, la scorsa settimana è balzata a 3,375 miliardi. Finora nomi di investitori non sono emersi e neppure la Consob è riuscita a verificare se dietro gli acquisti massicci di azioni, in larga parte provenienti dall’estero, ci sia una regia unica, ma ilsussidiario.net, da fonte certe, è in grado di anticipare il nome di alcuni dei grossi players che stanno operando sul titolo senese. Uno tra i più attivi è BofA-Merrill Lynch, attraverso il desk londinese, terza per volumi la scorsa settimana, ma anche Credit Suisse First Boston (Csfb), la divisione di investment banking del colosso elvetico nato nel 2006 dall’acquisizione di tutti i rami di First Global, oltre che della divisione equity di Barclays Bank, Bzw e la francese Societe Generale, mentre fanno notare da Londra fonti accreditate sotto la promessa di anonimato, Goldman Sachs non compare nella lista dei primi dieci peratori attivi su Mps.



Se l’interesse di BofA-Merrill Lynch appare in linea con il profilo di player globale della banca d’investimento americana, più interessante appare l’attivismo di Csfb, negli anni divenuta un colosso ma nell’ambito high-tech, dove ha operato come principale o co-principale sottoscrittore di Ipo come quella di Amazon, Cisco, Silicon Graphics, Netscape, Lynux Systems, Apple, Compaq e Sun Microsystems, tanto che al picco della bolla il business generò revenues per 1,4 miliardi di dollari per Csfb. Un tale attivismo su un titolo bancario, tra l’altro sofferente come quello di Mps, apre qualche interrogativo, ancorché la banca svizzera non stia agendo come trader per conto terzi. Chi? Difficile dirlo.



Ancor più strano appare l’attivismo di Societe Generale, istituto di credito francese che come tutti i suoi partner transalpini ha compiuto un deleverage molto importante sui titoli di debito italiano, ancora però prevalenti nel portafogli e che quindi dovrebbe essere interessato a tutto tranne che a una banca strapiena di obbligazioni sovrane italiane, fino a oggi vera e proprio liability che generava perdite e tonfi borsistici a ogni piè sospinto di spread o di asta. C’è però un dettaglio interessante: al netto delle svalutazioni patite dall’istituto a causa della controllata russa Rosbank e dall’uscita dal mercato bielorusso (con la cessione di Belrosbank sul finire dello scorso novembre) e greco (con il disimpegno da Geniki in favore di Piraeus Bank), Societe Generale è presente in Italia attraverso Fiditalia, società di credito al consumo controllata al 100% dalla banca francese, ma non direttamente nel mercato bancario. Credit Agricole, infatti, controlla Cariparma, attraverso la quale ha razziato molte filiali di Intesa SanPaolo nelle principali città italiane, mentre Bnp-Paribas controlla Bnl e il suo ramo di credito al consumo, Findomestic.

Scalata francese in vista, quindi, grazie anche alla rivalutazione implicita delle detenzioni obbligazionarie sovrane italiane in pancia a Mps, grazie alla decompressione dello spread, quindi all’aumento del valore di quei titoli nella loro iscrizione a bilancio? Un’ipotesi del tutto teorica, che fa a pugni con la realtà di un controllo ancora abbastanza blindato (la Fondazione Mps ha il 34,9% e i suoi principali alleati possiedono complessivamente un altro 15-16%) e si scontra con quel limite statutario del 4% al diritto di voto in assemblea, che da solo basta a scoraggiare chiunque. Ma le prospettive, si sa, sono di cambiamento. E netto. A cominciare dall’ulteriore diluizione della quota in mano alla Fondazione (destinata a scendere al di sotto del 20%), fino alla probabile revisione del tetto al diritto di voto, quando sarà il momento di varare l’aumento di capitale da un miliardo già deciso e in programma dopo il 2014, con un valore del titolo che a Siena si augurano che a quel punto sia tornato su livelli di tranquillità, tali comunque da non penalizzare troppo gli attuali azionisti (che saranno esclusi in prima battuta dall’aumento).

Dopo l’assemblea dei prossimi 25 e 26 gennaio, poi, Rocca Salimbeni ricorrerà sì all’aiuto pubblico, ma, come ha sottolineato lo stesso Viola, con la prospettiva di restituire cash i soldi ricevuti. Come? La ricetta è la solita: con lo spread a 200 punti e il ritorno all’utile della banca, grazie anche alla diluizione già annunciata sui requisiti di patrimonializzazione di Basilea III. I numeri, d’altronde, parlano chiaro. La banca alla fine del terzo trimestre 2012 possedeva un portafoglio titoli di Stato italiani per un controvalore di 24,7 miliardi e perdite potenziali su di esso, tramite minusvalenze, di ben 2,8 miliardi. Ma da fine settembre a oggi, lo spread è crollato di oltre 90 punti base e i prezzi di Bot e Btp si sono impennati (rendimenti in discesa). Ora, per ogni punto in meno di spread, si calcola, che Mps realizzi un guadagno patrimoniale netto di 15 milioni di euro, i quali moltiplicati per 90 punti, portano l’accrescimento patrimoniale netto a 1,4 miliardi.

Insomma, le minusvalenze sono state dimezzate e Piazza Affari ha registrato la metà di tale miglioramento di Siena, in linea con il trend del titolo, che viaggia a multipli pari al 50% del patrimonio netto contabile dell’istituto. Altro dato, questo, che renderebbe molto improbabile l’ipotesi di scalata a un istituto il cui azionariato stabile possiede il 50% del capitale (la sola Fondazione il 34,94%) e che ha un’esposizione verso il Tesoro per 3,9 miliardi di euro, potenzialmente fino a circa 4,45 miliardi. Infatti, i Monti bond potrebbero anche essere convertiti in equity, su richiesta dello stesso istituto, con lo Stato potenzialmente azionista di maggioranza assoluta con il 54%. Mps, poi, vede sì trasformarsi i bonds italiani detenuti in oro, ma sconta una durata media dei titoli in portafoglio di 9 anni contro la media di 4 e registra altri debiti per 350 milioni e i relativi interessi, i quali annullano potenzialmente l’utile distribuibile, il quale non è arrivato lo scorso anno e non arriverà quasi certamente questo.

E qui potrebbe trovarsi la chiave di volta, insieme a uno strano intreccio politico. A fronte di questi numeri, infatti, Palazzo Sansedoni potrebbe decidere di scendere ulteriormente nel capitale bancario, dopo avere già ceduto una quota del 15% nella primavera del 2012. Sinora, il fattore che ha maggiormente frenato questa scelta è il prezzo di carico delle azioni Mps, pari a 0,36 euro a bilancio della Fondazione. Fin quando il titolo viaggiava a 0,22 euro, le minusvalenza che l’azionista di maggioranza avrebbe riportato in caso di vendita sarebbero ammontate a circa il 38% del prezzo di carico e pari a quasi 15 milioni e mezzo per ogni punto percentuale ceduto di azioni. Ma ora il titolo è trattato in area 30 centesimi, per cui se il trend dovesse artificialmente irrobustirsi nelle prossime sedute e stabilizzarsi, qualcuno potrebbe voler monetizzare la sua partecipazione, consentendo ad altri di scalare la banca. E temo che questo sia lo scenario che abbiamo di fronte.

Politicamente, poi, Mps è notoriamente la banca dei Ds, fino a poche settimane fa certi trionfatori delle prossime elezioni politiche di febbraio, quindi controllori della banca ancora di più, attraverso Palazzo Chigi e, soprattutto, il Tesoro: quasi impossibile, quindi, scalare senza il beneplacito di Pierluigi Bersani e soci. Ora, però, la discesa in campo di Mario Monti e la ripresa del Pdl attraverso l’offensiva mediatica del Cavaliere hanno sparigliato non poco le carte in tavola, rendendo molto meno probabile una vittoria netta di Ds e Sel, quantomeno per il blocco che il Pdl creerà al Senato, potendo godere già oggi di un vantaggio nella regione a tal fine strategica: la Lombardia. Di fronte all’ipotesi dell’ingovernabilità, se il centrosinistra sarà la coalizione con il principale numero di voti, appare automatica l’apertura di un dialogo con la galassia centrista raccolta attorno a Mario Monti, il quale come vi ricordate ha ottenuto l’immediato e sperticato endorsement di Francois Hollande, forse più interessato di quanto non si potesse credere in un primo momento.

Forse Societe Generale ha un interesse duplice su Mps, ovvero ottenere un braccio operativo in Italia come i suoi concorrenti transalpini e, nel caso, utilizzare il più antico istituto italiano come “bad bank” delle liabilities a bilancio, leggi esposizione obbligazionaria in caso il placebo Draghi finisca, così come gli acquisti di debito italiano da parte di banche e fondi di mezzo mondo in attesa del Monti-bis, ipotesi che se tradita potrebbe far arrabbiare non poco gli ambienti che contano? Il fatto, poi, che da Londra facciano notare come «stranamente Goldman Sachs non figura nei primi dieci investitori su Mps» fa capire che la banca d’affari Usa sarebbe sottocoperta per evitare potenziali accuse e collegamenti con Mario Monti e la sua sfida politica, ma che non per questo non sarebbe pronta a intervenire. O, magari, pronta solo a uscire allo scoperto, visto che già oggi qualcuno sta operando sul mercato per suo conto.