Benetton pupilli d’Italia. L’economiaquest’anno andrà un po’ meglio che nel 2012? Oppure la crisi continuerà a essere la solita compagna di viaggio degli ultimi tempi e cercherà anzi di occupare ancora più spazio? Gli economisti e gli esperti si scervellano per rispondere a questi interrogativi, senza raggiungere alcun risultato concreto e attendibile. Così nessuno sa niente di quello che succederà e tutti si affidano più volentieri alla cabala e alla buona sorte, rivelatesi più scientifiche dei grandi guru che soloneggiano, a pagamento, sulle colonne dei più autorevoli giornali del mondo.
Chi non si pone minimamente il problema di come andranno il 2013 e gli anni successivi è la famiglia Benetton. La ragione è semplice: loro non sono più imprenditori esposti alle bizze del mercato, sono ormai dei lobbisti che hanno comprato dei monopoli e, sia pure con qualche fatica, riescono a spuntare tariffe per loro convenienti per quegli stessi monopoli privatizzati dallo Stato. E realizzano eccellenti utili per le loro società e, di conseguenza, distribuiscono gradevoli dividendi agli azionisti fra i quali si si annoverano, e in primissima fila, gli stessi Benetton. Sono finiti i tempi difficili delle T-shirt e delle maglie colorate che agli inizi fecero da apripista a una nuova moda, intercettando le tendenze giovanile degli anni ‘60-70. Quel modello esiste ancora, ma rappresenta solo una parte del fatturato consolidato della Benetton che ha assistito all’erosione dei suoi spazi di mercato da parte di concorrenti più innovativi e più abili, come Zara e H&M. Da anni ormai il resto, il grosso del business dei fratelli di Ponzano Veneto arriva da Autostrade, Aeroporti, Grandi Stazioni e da un’attività a queste strettamente collegata, Autogrill.
Come si diceva, i Benetton sono ormai essenzialmente dei finanzieri che investono in monopoli, dove non c’è guerra dei prezzi con accaniti concorrenti internazionali, ma tariffe fissate dal legislatore e dalle autorità italiane. Una volta convinti questi, tutto fila via liscio. Tutto questo è perfettamente lecito, legale, irreprensibile. Ma, a mio avviso, altrettanto inopportuno. Ogni italiano che si muova in auto, o in aereo passando da Fiumicino, primo scalo nazionale, o che prenda un treno scendendo in una delle cosiddette Grandi Stazioni (generalmente le principali) paga un pedaggio alla famiglia Benetton, la quale difende questo suo privilegio a qualsiasi costo. Per esempio, anche entrando nel gruppo di patrioti che salvarono l’Alitalia, mossa che evidenzia un palese conflitto di interessi essendo loro anche soci di Fiumicino, ma che è stata efficace. E lo ha dimostrato Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade, quando ha detto: “Dopo che siamo entrati nella nuova Alitalia, abbiamo trovato il governo più disponibile sui temi degli aumenti tariffari chiesti dal gruppo”. Disponibilità che ha avuto conferma pochi giorni fa, quando Palazzo Chigi ha autorizzato il ritocco tariffario per Fiumicino.
Come si diceva tutto questo è perfettamente legale: i Benetton hanno partecipato a delle aste e le hanno vinte. Ma in futuro, se lo Stato metterà in vendita altri monopoli, non si potrà stare attenti che non sia un solo signore a prenderseli? Altrimenti i Benetton diventeranno sempre più simili ai Savoia che, prima dell’Unità d’Italia, esercitavano un signoraggio assoluto sulla via Francigena, quella percorsa dai pellegrini diretti a Roma, riscuotendo un diritto di passaggio da ciascuno. Chi andrà al governo non potrebbe occuparsi anche di assicurare all’Italia un futuro senza altri Benetton?
Magico Monte. In tre giorni, la scorsa settimana, è passato di mano il 29% del Monte dei Paschi di Siena, la banca presieduta da Alessandro Profumo e appena beneficiata dal governo italiano con un’emissione di bond a lei riservata che la ha consentito di non portare i libri in Tribunale. Ora non è qui il caso di riprendere l’eterno dibattito sull’opportunità o meno di salvare le banche in difficoltà con denaro pubblico. Quando, nel settembre 2008, si lasciò fallire la Lehman Brothers, il mondo vide l’apocalisse. Nel caso di Mps ci si accontenterebbe, per decenza, che la banca non distribuisse dividendi agli azionisti prima di aver ripagato tutto il debito allo Stato. È chiedere troppo, visto che gli azionisti di maggioranza sono tuttora enti legati al Partito democratico?
Attento Albertini. Va Bene che siamo in campagna elettorale e ognuno dvee sparare le proprie cartucce. Però quella messa in canna da Gabriele Albertini, candidato per la lista Monti in Lombardia, richiama brutte analogie, sgradevoli ricordi. L’ex sindaco ha detto di sapere cose su Roberto Formigoni, tali da rovinarlo. Se questo è vero, allora le dica queste cose, le dica agli elettori che chiama alle urne e, se hanno rilievo penale, le dica anche alla polizia. E sia lo stesso Formigoni a chiedere ad Albertini di parlare, di dire tutto: come recita il vecchio adagio, ai ricattatori è meglio far scaricare il fucile. E subito.
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