Draghi alla presidenza della Repubblica è un’opzione suggestiva, ma quanto praticabile? Berlusconi, a chi gli chiedeva, durante la trasmissione Omnibus, come valuterebbe l’ipotesi, ha spiegato che lo voterebbe per il Quirinale senza alcun dubbio. Priverebbe l’Europa, tuttavia, della persona che, per sua stessa ammissione, ha consentito la riduzione degli spread. Il presidente della Bce, dal canto suo, si è affrettato a liquidare la questione facendo presente che fino al 2019 sarà impegnato. Nel frattempo, l’ex premier, insiste nel sostenere che abolirà l’Imu, eliminerà le tasse sui neoassunti e, in generale, ridurrà significativamente il carico tributario. Ma non poteva farlo nei suoi quattro precedenti governi? Lo abbiamo chiesto a Francesco Forte.
La vicenda Draghi si esaurisce nel rifiuto di martedì?
Draghi non poteva che rispondere come ha fatto. Tuttavia, se lo eleggessero presidente della Repubblica non credo che oserebbe rifiutare. Il problema della sua elezione non rimane pregiudicato.
Se diventasse capo dello Stato, cosa ne sarebbe della Bce?
Ormai Draghi ha tracciato una linea che è stata accettata anche dal membro tedesco della Bce, che ha fatto notare come attraverso il fondo Salva Stati la Germania non farebe altro che acquisire debiti. La politica della Bce di annunciare l’intenzione di intervenire in caso di emergenza, dato che il suo obiettivo di stabilità monetario contempla anche le fuoriuscite dall’Euro o gli sbalzi del mercato obbligazionario, gode ormai di un consenso generale. La Bce, quindi, non rinuncerà a questa impostazione, ormai consolidata.
E se alla Bce andasse un tedesco?
Non ci andrà. In linea teorica, tocca a un francese. Oltretutto, non potrebbe mai andare un personaggio sgradito all’America.
Cosa comporterebbe per l’Itala l’elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica?
Darebbe una rassicurazione sulla politica finanziaria del nostro Paese. Non dimentichiamo che la crescita passa anche attraverso quelle liberalizzazioni del mercato del lavoro che, con Napolitano, non sono state interamente accolte. Rigettò, infatti, alcune importanti misure proposta da Sacconi che Draghi, invece, accetterebbe. Avremmo, in sostanza, una presidenza che accoglie la linee della Bce in termini di liberalizzazioni e stabilità economica.
Tornando a Berlusconi: è credibile, considerando i vincoli di bilancio e la recessione, la sua proposta di abolire l’Imu?
Indubbiamente, il programma fiscale di Berlusconi è sovraccarico. Tra le storture non menzionate dell’Imu, vi è l’imposizione sugli affitti. Benché non riguardi direttamente i proprietari di case, colpisce pur sempre le persone fisiche. Migliorare la tassazione in materia, ove lo sgravio è stato ridotto dal 15 al 5%, costerebbe 400 milioni. Questa è la priorità. L’Imu sulla prima casa, invece, costa circa 3 miliardi e si potrebbe abolire nell’arco di 2 anni. L’imponibile si potrebbe facilmente recuperare con una sanatoria degli edifici in cui siano stati realizzati ampliamenti o cambiamenti di destinazioni d’uso. Salvo danni eclatanti al paesaggio, non procedere in questa direzione sarebbe pura ipocrisia.
Come valuta, invece, l’ipotesi di azzerare le tasse sull’assunzione di nuovi lavoratori?
Credo che sarebbe necessario prevedere una formulazione contributiva più raffinata di quella presentata da Berlusconi. E’ possibile stabilire per i giovani un percorso pensionistico tale per cui, a fronte di un minore onere contributivo – ad esempio, per un quinquennio – il loro assegno previdenziale resti invariato, magari grazie all’aumento dei limiti di pensionamento. Non credo, in ogni caso, che per quanto apprezzabile, tale misura sia quella decisiva.
Quale lo sarebbe, allora?
Gli esperti tributari che consigliano Berlusconi dimenticano che nelle politiche per la sviluppo occorre, anzitutto, ridurre le aliquote sulle imprese. Il che, in periodo di crisi, considerando che molte aziende sono in perdita, costa decisamente meno della riduzione della aliquote Irpef. Questo è l’unico processo in grado di favorire gli investimenti internazionali, l’unico fattore in grado di favorire la crescita. A fronte di una leggera perdita di gettito si determinerebbe una crescita strutturale che, nel tempo, consentirebbe di recuperare il gettito perduto.
Anche diminuire le tasse alle persone fisiche non sarebbe male.
Ovvio. Ma, in una fase recessiva, qualche spicciolo in più nelle tasche degli italiani non rilancia di certo i consumi. Chi non vede prospettive di crescita, i pochi soldi che ha in più se li tiene ben stretti.
Perché, in ogni caso, in tanti anni di governo, Berlusconi non ha mai varato quella significativa riduzione del carico fiscale che ora va promettendo?
Perché il titolare della sua politica tributaria era Tremonti. E Tremonti queste cose non è in grado di farle. È un dirigista illuminato che si è intestardito su alcune impostazioni tutt’altro che liberali.
Con Brunetta cambierebbe qualcosa?
Brunetta è un buon macroeconomista, ma non è un esperto di politiche tributarie.
Tra i personaggi più in vista, lei chi suggerisce?
Guido Crosetto. Lui, queste cose le capisce. Peccato che non faccia più parte del Pdl…
(Paolo Nessi)