Nonostante famiglie e imprese non se ne siano minimamente accorti, il sistema è inondato di liquidità grazie alle politiche di stimolo delle banche centrali, Fed in testa, tassi d’interesse bassissimi e traders che hanno riattivato la modalità di rischio nei loro investimenti, cross valutari in testa. Insomma, prezzi in salita per tutte le asset classes, grazie anche alla spinta overnight dei contratti futures.

Bene, questo ambientino reso possibile dalle presse di mezzo mondo sta sì spingendo la Borsa al rialzo, ma anche creando un blitz sul mercato delle commodities i cui costi saranno pagati dai cittadini-contribuenti e i benefici finiranno nei bilanci delle banche d’affari e dei fondi speculativi. Prendiamo due espressioni tipiche del linguaggio borsistico: “asset class”, appunto, come ad esempio è tornato a essere in questi periodi il petrolio e “multiple expansion”, ovvero l’unica possibilità che hanno le equities di raggiungere dei guadagni, l’aumento della ratio prezzo-ricavo attraverso il vecchio principio del “pump and dump”, gonfia e scarica, quindi acquisti basati sulla retorica di Wall Street e non sui fondamentali.

Quest’ultima pratica ha come prima conseguenza la creazione di bolle, le quali non sono mai benigne, perché appena ci si scontrerà con una valutazione reale dei fondamentali dei mercati – e prima o poi accadrà – esploderanno. In compenso, se nazioni, fondi pensione, investitori retail e quant’altro perderanno soldi, altri soggetti – leggi Wall Street o la City – ne faranno a vagonate. Ed ecco entrare in scena l’altra definizione, l’asset class, nel nostro caso il petrolio: asset class è un’ampia categoria di attività finanziarie omogenee, normalmente suddivisibili in tradizionali (azioni, obbligazioni, strumenti di liquidità) e alternative (hedge funds, materie prime, investimenti immobiliari, prodotti strutturati e derivati).

Ogni asset class è caratterizzata da un profilo di rischio/rendimento e da una percentuale di correlazione ai mercati finanziari, ovvero da un andamento allineato o meno a quello degli indici di Borsa e dei mercati obbligazionari. Già, sapete perché nonostante non ci sia alcun fondamentale di domanda/offerta che lo giustifichi, il petrolio sia così caro e il costo per la benzina vi stia spennando il portafogli come se ci fossero in atto contemporaneamente un attacco israeliano sull’Iran, la chiusura di Suez e il blocco dell’estrazione in Venezuela? Proprio perché per mantenere pimpante la Borsa e i titoli petroliferi che pesano e molto sull’indice S&P 500, il greggio è tornato a essere un “asset class” e i traders stanno drogando il mercato comprando futures come se non ci fosse un domani a chiusura di mercato e durante la notte.

Una qualche legge della termo-dinamica rende necessarie questa operazione di equivalenza? No, solo la necessità per le banche di perpetuare il rally a Wall Street e guadagnare a spese vostre. È proprio così, altrimenti – stante l’attuale situazione di fondamentali domanda/offerta – un trader assennato starebbe shortando il petrolio, invece acquistano tutti futures perché hanno bisogno delle correlazione di crescita – quasi un trade contemporaneo – fra prezzo del petrolio e andamento delle molte compagnie legate all’oro nero trattate nello S&P 500: se il prezzo del petrolio calasse, il loro “pump&dump” su quei titoli sarebbe molto più difficile e rischioso.

È la cosiddetta strategia del “bang to the close”, ovvero operare al rialzo alla chiusura dei mercati per garantire un effetto artificiale all’insù: peccato che, formalmente, questa sarebbe vietata per le commodities, a meno che non fosse indirizzata al ribasso. Qualcuno per questi giochini con Enron si è beccato qualche secolo di galera, in quel caso la commodity era l’elettricità, ma evidentemente ora va bene così, Bernanke ha dato il via libera. Come spiegare, altrimenti, un aumento del prezzo del petrolio di 10 dollari in un mese a fronte di condizioni di fondamentali, dinamiche di mercato e prospettive geopolitiche identiche negli ultimi sei mesi? Solo con il “bang to the close” che tanto piace ai traders e le loro mire di guadagno attraverso la correlazione di prezzo del petrolio e prezzo dei titoli legati al settore nell’S&P 500 di Wall Street.

Guarda caso, come confermano dati resi noti da Morgan Stanley, il livello di leva negli investimenti da parte di manager che speculano sul rialzo o ribasso di titoli – ovvero gli hedge funds – oggi è al più alto livello di ogni inizio anno dal 2004. Capite da soli che il benessere di pochi, attraverso quella che di fatto è una manipolazione del mercato, costa a tutti gli altri un aggravio nei prezzi di generi alimentari ed energia, il tutto su base quotidiana vista l’operatività sui futures, senza che vi siano fondamentali a giustificare una simile dinamica.

Forse, serve una riforma, forse sarebbe ora di tornare a domanda/offerta come unico indicatore reale nel mercato delle commodities. Perché pensate che si punti al dollaro debole, attraverso la stamperia sempre aperta della Fed? L’export certo, ma anche l’aumento del prezzo delle commodities, strumentale a questa dinamica di mercato delinquenziale. E pensate che per spezzare questa catena, basterebbe un’unica, piccola, semplicissima riform;, peccato che andrebbe contro gli interessi di Wall Street, quindi scordatevi che qualcuno possa o voglia farla: imporre la consegna fisica del materiale su cui si è operato attraverso i contratti futures. Stesse a me poter decidere, permetterei deroghe al principio di consegna del materiale solo ai traders con posizioni aperte sotto i 20 contratti, visto che sono troppo piccoli per muovere il mercato ma al tempo stesso forniscono liquidità e permettono la creazione di un principio di prezzo equo a chi entra nel mercato e agli altri partecipanti. Sopra i 20 contratti, obbligo di consegna fisica del materiale entro 30 giorni. Semplice, no? Lasciate stare che chiunque facesse una legge simile si troverebbe in stanza otto minorenni nude pronte a denunciarlo per stupro, tre chili di cocaina nell’armadio, il fucile che ha ucciso Kennedy e il timer della strage di Capaci nascosti nel bagagliaio della macchina…

Scherzi (mica tanto) a parte, pensate davvero che Goldman Sachs comprerebbe petrolio a 140 dollari al barile, se davvero dovesse riempire la propria sede di barili o dovesse acquistare magazzini di stoccaggio? E Barclays, lo farebbe? Beh, con l’obbligo di consegna fisica sarebbe proprio così, tu compri petrolio di carta ma Cme o Nymex un mese dopo ti spediscono bei barilotti pieni di greggio. Eh sì, perché dovrà finire prima o poi l’epoca in cui la banca pinco pallino decide che il prezzo del petrolio dovrebbe essere X, fa raggiungere quella quota attraverso i futures e incassa un profitto. Il tutto per poi dire che invece il prezzo dovrebbe essere Y e lo shorta attraverso altra carta fino a riportarlo al prezzo iniziale, salvo incassare un altro profitto. Il tutto, senza un virgola di cambiamento nei fondamentali di mercato e a tutto detrimento dei consumatori-cittadini.

E non si tratta solo del petrolio, ormai l’abuso di manipolazione dei prezzi attraverso i contratti futures colpisce anche l’agricoltura e i suoi prodotti, ma anche il cotone, vero protagonista in negativo del mercato elettronico degli ultimi dieci anni. L’obbligo di consegna fisica del bene acquistato – ve lo vedete un presidente di hedge fund con l’ufficio pieno di soia o mais? – riporterebbe le dinamiche di mercato alla verità, ovvero alla ratio pura di domanda e offerta, eliminando la cartaccia che opera al rialzo e al ribasso in totale dispregio dei fondamentali. Non si può?