Nel computo del debito pubblico, c’è un livello di spesa che spesso non viene preso in considerazione, ma i cui effetti sull’economia reale dovrebbero destare parecchie preoccupazioni. Le Regioni, infatti, sono in rosso per 130 miliardi di euro, 42 dei quali sono relativi a mutui e investimenti, mentre gli altri 88 rappresentano mancati pagamenti (di questi, 21 miliardi sono stati cancellati dai bilanci per eccessiva anzianità). Il calcolo, effettuato da Il Sole 24 Ore, solleva diversi interrogativi: da cosa dipendono queste voragini, e come si ripercuotono sull’intero sistema? Lo abbiamo chiesto a Carlo Buratti, professore di Scienza delle finanze presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Padova.



Come mai le Regioni sono così indebitate?

I continui tagli alla finanza regionale locale hanno prodotto questo risultato. Meno entrate significa meno soldi per pagare i fornitori. Lo Stato risparmia sugli interessi, certo. Tuttavia, va da sé che il mancato pagamento nei confronti delle imprese, complessivamente, danneggia l’economia.



In assoluto, 130 miliardi rappresentano una cifra preoccupante?

Rispetto a un debito pubblico complessivo di 2mila miliardi non è ingentissima. Resta il fatto che sì, effettivamente è piuttosto preoccupante. Non dimentichiamo che, se per ipotesi, si volesse porvi rimedio, sarebbero necessarie almeno tre finanziarie di entità rilevante.

Le Regioni degli altri Stati avanzati hanno i nostri stessi problemi?

Non siamo di certo un caso isolato nel mondo. Non ci sono solo Paesi come la Spagna che versano in condizioni analoghe, ma persino alcune stati federati degli Usa hanno gli stessi problemi.



Come reputa la pratica di cancellare i residui passivi dai bilanci?

Avrebbe molto più senso cancellare quelli attivi. Se un ente non è stato in grado di incassare una certa cifra che da anni aveva messo in bilancio, sarebbe prudente cancellarla nell’ipotesi di non riuscire a incassarla neanche in futuro. Mi sembra molto più controversa, invece, la cancellazione di quelli passivi. Si tratta pur sempre, infatti, di debiti che, prima o poi, andranno onorati. E, a quel punto, sarà necessario reinserirli in bilancio. Va detto che tutto ciò si colloca all’interno di un paradosso altrettanto grave.

Quale?

Spesso gli enti locali dispongono di soldi in cassa, e potrebbero usarli per varare interventi volti a rilanciare l’economia. Ma non possono farlo a causa delle norme imposte dal Patto di stabilità. Esso, infatti, impone sia vincoli di cassa che di competenza. E perfino sulle spese in conto capitale, quelle, cioè, per gli investimenti. Capita che un Comune o una Regione incassino o prevedano di incassare una certa cifra per effettuare una spesa, ma non possano utilizzarla perché, formalmente, si indebiterebbero sforando così dal Patto.

Questo che effetti ha sulla nostra economia?

Deleteri, direi. Si parla tanto di rilanciare la crescita: ebbene, gli enti locali potrebbero farlo con una certa facilità. Basti pensare alle operazioni necessarie per sistemare un marciapiede o per costruire un sovrappasso: si tratta di investimenti attivabili molto velocemente e che, in fase congiunturale negativa, andrebbero sostenuti perché rappresentano proprio quelle misure infrastrutturali in grado di produrre posti di lavoro e rilanciare i consumi.

Come si esce da questa situazione?

Occorre rivedere le regole del Patto di stabilità. E per farlo, l’unico modo è trattare con l’Europa. 

 

(Paolo Nessi)