La campagna elettorale ormai è entrata nel vivo. Ogni giorno i telegiornali sono riempiti con le ultime dichiarazioni del leader di turno, al quale corrispondono le controdichiarazioni degli altri, ad appoggiare o confutare le tesi più disparate. Gli elettori si schierano sempre di più, gli indecisi diminuiscono, ma la confusione aumenta. Non esiste più un giudizio chiaro in base al quale schierarsi o dividersi, tutti impegnati come sono a nascondere il grande delitto, il grande problema.
Il grande problema è che questi signori, finché permangono lo stato attuale di cose e di istituzioni, non contano più nulla. Non contano loro, come non contano i parlamentari europei, profumatamente pagati con i soldi nostri. Noi eleggiamo gli uni e gli altri, ma entrambi non contano più nulla. A decidere veramente sono ormai altri poteri, quelli finanziari che hanno favorito l’ascesa di Mario Draghi alla Banca centrale europea e poi hanno imposto Mario Monti alla guida dell’Italia. Lo hanno imposto non perché lui abbia le idee giuste per portarci fuori dalla crisi, ma perché esegua fedelmente le loro indicazioni. E lo scolaro, senza dubbio, si è applicato con molta disciplina.
La conferma che in Italia le massime istituzioni, quelle stabilite dalla nostra Carta Costituzionale, non contano ormai più ci è stata data proprio da Monti, il quale, parlando della fine del mandato di Napolitano, ha dichiarato: «Non ho voluto concorrere per quella carica perché la ritengo non tanto rilevante per il destino dell’Italia». Certo, poi ha rimediato affermando che «Napolitano è un’eccezione», ma non ha certo smentito l’affermazione precedente. Come si dice a Roma, una pezza peggio del buco.
Il professor Monti poteva almeno mostrare un minimo di gratitudine per la persona che, in quel ruolo, gli ha permesso di divenire Senatore a vita e poi Presidente del Consiglio. Ma l’esigenza di dire la verità, presente in ogni essere umano, questa volta lo ha reso poco diplomatico e quasi simpatico nella sua goffaggine. E pure ha detto una verità ormai accertata: il nostro Presidente della Repubblica prende istruzioni dalla Merkel, la quale a sua volta prende sul serio i pressanti consigli del governatore della Banca centrale tedesca, la Bundesbank. E la banca tedesca inizia a essere molto attiva ultimamente: è la seconda maggiore detentrice di oro fisico al mondo, ma questo fisicamente si trova dislocato in parte a New York, in parte a Londra e in parte a Parigi. Si tratta di una delle lontane conseguenze della Seconda guerra mondiale, una sorta di garanzia contro le mire espansionistiche della Germania, e a tutela del fatto che Berlino era troppo vicina al confine con l’est europeo, fisicamente troppo vicina al mondo comunista.
Ora questo pericolo non c’è più e Berlino ha richiesto improvvisamente il rimpatrio di una buona parte di quell’oro. Che scenario si sta preparando? Cosa sta per succedere? Se lo stanno chiedendo anche alcuni grossi investitori istituzionali: le banche centrali non si fidano più tra di loro? Da parte americana, qualche commentatore ha pure avanzato una risposta ridicola: non importa se abbiamo l’oro davvero, quello che conta sono i libri contabili che dicono che abbiamo l’oro. E pure il comunicato tedesco lascia perplessi. Si parla di una mossa per costruire fiducia e confidenza all’interno e per ottenere la capacità di cambiare oro con monete estere in breve tempo. Ma solo tre mesi fa la stessa fonte ridicolizzava le paure irrazionali dell’opinione pubblica tedesca sui depositi aurei fuori dalla Germania. Allora perché ora lo ritirano? Perché hanno cambiato idea?
Una cosa è certa: la mancanza di fiducia dilaga. E le nostre istituzioni, le nostre cariche più importanti ormai “non sono tanto rilevanti per il destino dell’Italia”. Un brandello di verità. Ormai, per il destino dell’Italia e per quello nostro personale, dobbiamo rivolgerci più in alto e dobbiamo prepararci a rifondare tutto da noi. Vigiliamo e stiamo pronti.