Una proposta di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, per salvare gli stabilimenti dell’Ilva. Per il governatore occorrerebbe consentire la commercializzazione dei prodotti finiti dell’acciaieria, purché siano utilizzati integralmente per il risanamento ambientale e per il pagamento degli stipendi dei lavoratori. Ilsussidiario.net ha intervistato Gian Maria Gros-Pietro, dirigente d’azienda e professore di economia.



E’ d’accordo con la proposta di Vendola per scongiurare la chiusura dell’acciaieria?

Una via d’uscita ci vuole, anche se non sono in grado di dare una parola definitiva sugli aspetti giuridici di questa vicenda. Il risanamento ambientale è necessario e i vertici di Ilva si sono impegnati a metterlo in atto. Condivido quindi l’idea che si possano vendere i prodotti e il ricavato possa essere utilizzato anche per il risanamento. Non ho però gli elementi per affermare che il ricavato debba o meno essere destinato interamente ai lavori per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia).



Qual è il senso industriale e di governance della proposta di Vendola?

Io preferirei utilizzare un altro aggettivo: il senso imprenditoriale. Da questo punto di vista la proposta di Vendola è molto lontana dal funzionamento fisiologico di un’impresa. Se attuatasignificherebbe praticamente un esproprio: l’impresa produce, e poi c’è un’autorità esterna che provvede alla vendita e all’utilizzo del prodotto. Se il lodo Vendola va inteso in questi termini, non capisco come un’impresa come l’Ilva possa continuare a funzionare. Perché ciò avvenga occorre infatti che il ricavato del venduto sia utilizzato per realizzare una produzione successiva.



Quindi lei ritiene che in un’economia di mercato la proposta di Vendola non possa funzionare?

Non mi sento di affermare ciò, perché non conosco i numeri di questo progetto imprenditoriale. Il punto è che esistono due obietti: salvaguardare la salute e l’occupazione. Se l’impresa funziona è possibile perseguire entrambi gli obiettivi, anche se è una sfida che va colta e vinta di continuo. Se l’impresa cessa di funzionare non si raggiungerà nessuno dei due.

In che senso?

Si perderà l’intera occupazione e il risanamento ambientale non sarà attuato perché mancheranno le risorse. E’ quindi essenziale che siano garantite delle condizioni in base a cui l’impresa possa continuare a funzionare. Occorre un ciclo per effetto del quale le risorse impiegate nella produzione siano ricostituite, vendendo il prodotto. Se così non è l’impresa non può funzionare, e di conseguenza non può sostenere né l’occupazione né gli investimenti di risanamento.

 

L’idea di Vendola è che il profitto non sia indispensabile, ma che basti produrre a prezzi di costo. Non è così?

 

In primo luogo, occorrerebbe avere numeri più dettagliati per capire se abbiamo a che fare con dei profitti o con delle perdite. Se stessimo parlando di un’impresa esistente che non ha bisogno di nessun investimento, potremmo anche immaginare transitoriamente un periodo di semplice ricircolo del capitale circolante: cioè si vende e si produce altro materiale che poi si rivende. Tutti però affermano che sono necessari grandi investimenti, ed è facile comprendere che nessuno sia disposto ad attuarli senza un ritorno.

 

Lei ritiene che nel 2013 abbia ancora senso basare il settore produttivo italiano sulle acciaierie?

 

Può darsi che qualcuno si senta di fare affermazioni che vanno nella direzione di un’Italia senza più acciaierie. Io ritengo però che si tratta di decisioni che deve prendere il governo, il quale ha detto chiaramente come la pensa. Quella che riguarda l’Ilva è una materia che spetta interamente al potere esecutivo.

 

Il prossimo presidente del consiglio potrebbe essere Bersani, che ha fatto proprio il lodo Vendola…

 

Il lodo Vendola va bene se consente all’impresa di continuare a produrre, permettendo la ricostituzione, attraverso la vendita del prodotto, delle risorse per produrre altro acciaio e se garantisce la remunerazione dei capitali investiti. Se queste condizioni sono soddisfatte, il lodo Vendola va dunque bene.

 

(Pietro Vernizzi)

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