Prima di cominciare, due precisazioni. Primo, non sono mai stato tenero con Giuseppe Mussari e quanto scritto in questi anni e mesi lo testimonia, a partire da quella follia finanziaria che risponde al nome di Antonveneta. Secondo, nell’articolo che ho dedicato a Montepaschi la scorsa settimana ho compiuto un’imprecisione: tutti i dati in esso contenuti erano veri e lo restano, avevo solo sbagliato bersaglio e strategia. Insomma, a Societe Generale non frega proprio niente di Mps, non la vuole vedere nemmeno in fotografia. La partita attorno alla banca più vecchia del mondo è tutta italiana. Con qualche interesse inconfessabile della Germania.
Ma andiamo con ordine. Come tutti saprete il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, si è dimesso martedì in relazione allo scandalo per la scoperta dell’ennesimo contratto derivato sottoscritto da Mps – questa volta con Nomura, prima con Deutsche Bank – per evitare minusvalenze e mascherare le perdite. A denunciare l’accaduto ci ha pensato Il Fatto Quotidiano con un’inchiesta pregna di particolari finanziari e ampie citazioni del contratto stesso e delle sue clausole, frutto, a detta del quotidiano, di una fonte senese coperta dall’anonimato.
Fin qui, nulla di strano. Ora, le stranezze però non mancano. Primo, quel contratto fu rinvenuto il 10 ottobre scorso nella cassaforte dell’ex direttore generale, Antonio Vigni, e il ritrovamento farebbe parte, stante la vulgata generalmente accettata, del lavoro di screening sull’attività del vecchio management posto in essere da quello nuovo, ovvero Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Di più, la banca giapponese avrebbe anche informato lo stesso Viola della trascrizione di una telefonata tra Mussari e il capo europeo di Nomura, Sadiq Sayed, nella quale il manager da Londra chiedeva all’ex numero uno di Montepaschi se avesse inteso bene i termini del contratto, se il Consiglio fosse stato informato e se avesse informato del contratto stesso i revisori.
No dico, va beh che in Italia ancora c’è qualcuno che pensa che la strage Ustica sia stata colpa di un piccione kamikaze, ma in quale film una banca d’affari – Nomura ha rilevato assets e uomini di Lehman Brothers dopo il fallimento, non del Credito cooperativo di Codazzo – si mette scrupolosamente a chiedere al cliente che sta salvando-fregando con un contratto swap se ha capito bene che lo sta buggerando sul medio termine? Trascrizioni di telefonate, poi? In un ambiente dove non si manda una mail o non si parla nemmeno con la moglie di certe cose, si arriva alle trascrizioni delle chiamate: perché tanta cura e attenzione per Mps, quando metà della banche e tre quarti dei comuni italiani sono stati allegramente fregati da controparti estere su derivati, senza tutte queste carinerie? Mah.
Andiamo avanti. Viola girò immediatamente le carte scoperte alla Procura di Siena, la quale indaga da mesi su Mps e conta tra gli indagati lo stesso Mussari, Vigni e l’ex collegio sindacale. Ora, a me le coincidenza sono sempre piaciute, danno sale alla vita, ma come mai un documento rinvenuto il 10 di ottobre scorso e posto subito all’attenzione della magistratura finisce in prima pagina sul “Fatto” tre giorni prima dell’assemblea per l’aumento di capitale da 4,5 miliardi di euro convocata per domani? Forse perché così le resistenze verso un cambio radicale di governance della banca andranno a scontrarsi con un passato tutt’altro che limpido e con le dimissioni di Mussari, vissute da tutti come un’ammissione di colpa? Non a caso l’ex sindaco diessino, Franco Ceccuzzi, martedì ha tuonato: «Le gravi irregolarità contabili sono una conferma di quanto fosse necessario e urgente operare un ricambio ai vertici del gruppo». Ricambio ai vertici, non di governance. Ceccuzzi, tra parentesi, è ricandidato a sindaco per il Pd.
Ancora, dell’operazione Alexandria parlò lo scorso 6 maggio la trasmissione “Report” di Milena Gabanelli nella puntata intitolata “Monte dei Fiaschi”: perché solo ora tutto questo bailamme, proprio in coincidenza dell’assemblea? Perché Mussari si è dimesso due giorni fa e non otto mesi fa? Perché Viola appena arrivato a Siena quasi impose all’allora presidente Mussari la sostituzione di Gianluca Baldassarri, ex area finanza Mps? Cosa aveva scoperto Viola in sole due settimane? Baldassari sapeva di operazioni segrete o addirittura le portava avanti lui? Perché ha pagato solo lui, però? E perché nonostante tutto se ne va con lettera di Mussari di encomio e buonuscita invece che con un licenziamento per giusta causa? Il resto della banca ha dormito per i dieci anni precedenti, non vedendo che Baldassari faceva magheggi, mentre Viola li scopre in quindici giorni? E poi Baldassari faceva eventualmente tutto da solo o prendeva ordini dai direttori generali che si sono avvicendati negli anni del suo operato, i vari De Bustis (dalemiano di ferro ed ex Deutsche Bank e Banca del Salento), Vigni, Tonini?
Chissà. Ma c’è di più, il furore sensazionalistico richiede sangue come la rivoluzione francese. La Fondazione Montepaschi di Siena, presieduta da Gabriello Mancini, valuterà un’eventuale azione di responsabilità ai danni della precedente gestione per lo scandalo derivati che ha travolto l’istituto. In particolare, l’azione verrà valutata non appena saranno disponibili tutti gli elementi e la dinamica dei fatti nonché l’effettivo impatto sui conti della banca, viene precisato. Di più, a carico degli ex dirigenti di Banca Mps, la Provincia di Siena, che nomina 5 membri nella Deputazione generale della Fondazione, sta valutando la possibilità di “azioni di responsabilità”. Lo ha affermato Simone Bezzini, presidente della Provincia di Siena: «Le ripetute indiscrezioni che si susseguono da giorni sulle ipotesi di operazioni finanziarie irregolari, realizzate da Banca Mps tra il 2008 e il 2009 e che oggi scaricano sull’azienda pesanti conseguenze negative sul fronte economico, finanziario e patrimoniale impongono che sia fatta presto la massima chiarezza sulla vicenda e sulle eventuali responsabilità». E per finire, Mps stessa sia è detta certa che la vicenda del contratto con Nomura non sia stata sottoposta al Consiglio.
Peccato che Nomura avrebbe invece confermato che il board a più alti livelli prese visione dell’accordo, il quale fu esaminato anche dai revisori di Kpmg. Insomma, o Nomura dice balle perché intortata da Mussari (ma gente che elargisce trascrizioni e chiede al cliente se ha capito bene, è dura che poi spari balle del genere facendosi fregare come un ragazzino di 13 anni) oppure Mps era totalmente nelle mani dello stesso ex numero uno di Abi, il quale faceva e disfava senza che nessuno di accorgesse di niente: se così fosse stato, Mussari era un trafficone, ma tutti gli altri degli incompetenti dormienti.
Strano però, perché la governance di Mps scoraggia operazioni da “uomo solo al comando”, visto che il controllo è ancora abbastanza blindato sia a livello societario (la Fondazione Mps ha il 34,9% e i suoi principali alleati possiedono complessivamente un altro 15-16%) che attraverso il limite statutario del 4% al diritto di voto in assemblea. Ma le prospettive, si sa, sono di cambiamento. E netto. A cominciare dall’ulteriore diluizione della quota in mano alla Fondazione (destinata a scendere al di sotto del 20%), fino alla probabile revisione del tetto al diritto di voto, quando sarà il momento di varare l’aumento di capitale da un miliardo già deciso e in programma dopo il 2014, con un valore del titolo che a Siena si augurano che a quel punto sia tornato su livelli di tranquillità, tali comunque da non penalizzare troppo gli attuali azionisti. I quali, formalmente, saranno esclusi in prima battuta dall’aumento, ma non si sa mai, visto che ora le cose sono cambiate e i buchi da rattoppare, anche per farsi vedere bravi e diligenti dal Governo che sgancia soldi pubblici, sono aumentati.
Insomma, domani e dopo si gioca il destino futuro di Mps e Mussari andava fatto fuori. Non solo perché addossando a lui tutte le responsabilità del passato ci si ricostruiva un verginità, ma anche perché il vulnus di un responsabile di contratti swap per coprire le perdite a capo dell’Abi dava fastidio a molti, all’estero e in Italia. Ora io mi chiedo: a chi giova il titolo Mps a picco e con esso il comparto bancario, proprio in questo momento? Eh già, perché combinazione delle combinazioni, il giorno precedente allo scoop del “Fatto”, al Palazzo di Giustizia di Milano si sono presentati gli ispettori del Fondo monetario internazionale per incontrare i giudici che si occupano di reati finanziari e per dare un’occhiatina al nostro sistema bancario: «Valutazione dei rischi e della solidità del sistema finanziario del Paese». Chissà cosa scriveranno nel loro rapportino per madame Lagarde, visto che mentre erano ancora su suolo italico hanno appreso dal “Fatto” che Mps giocava con gli swap e a farlo era nientemeno che il presidente dei banchieri? Ma ripeto, sono solo coincidenze.
Ora, però, visto che con la scoperta delle operazioni di swap delle perdite degli esercizi precedenti, tenute fuori bilancio e presumibilmente mai comunicate né alla Vigilanza di Banca d’Italia, né al Tesoro, il conto per i contribuenti italiani sarà sicuramente destinato a crescere (perché se non ve lo ricordate, stiamo regalando 3,9 miliardi a Mps per salvarsi, i Monti-bond o meglio gli Imu-bond), mi sorge spontanea una domanda: ma prima di accordare un esborso tale di capitale pubblico, il Governo perché non ha chiesto chiarezza assoluta sui conti passati con una due diligence condotta da ispettori esterni – il buon Bondi sarebbe stato utilissimo se avesse lavorato come con Parmalat – invece che staccare assegni mentre ancora i cadaveri riposavano negli armadi di Siena, salvo saltar fuori alla bisogna come in un film di Lucio Fulci?
Che Mps sia già fallita, è nei fatti. Analisti e broker londinesi che hanno curato le vendite del titoli nei giorni del rally, dicono questo. 1) Un asset quality più bassa di quella di Mps non si trova nemmeno in istituti dello Zimbabwe. 2) Gli acquisti esteri sono stati al 90% ricoperture di posizioni ribassiste assunte precedentemente. 3) I rumors sul rischio scalate sono messe quasi certamente in circolazione da Siena stessa. 4) Gli acquisti fatti nei giorni del rally sono stati quasi esclusivamente di soggetti istituzionali italiani. Bene, il primo punto è innegabile, così come il secondo a detta di tutti i principali operatori. Sul terzo punto non ho prove al riguardo, il quarto punto è invece certo. Chi ha comprato Mps? Forse Generali? E cosa se ne fa Generali di una banca decotta con in pancia 22 miliardi di titoli di Stato, quando una delle liabilities che le agenzie di rating e le banche d’affari vedono nel Leone è proprio la sua esposizione obbligazionaria sovrana? Chi altro? Mediobanca, magari? Per quale motivo? Forse perché qualcuno ha garantito loro la profittabilità dell’affare, visto che il prossimo Governo sarà così gradito ai mercati da far salire il valore di quei bonds in pancia a Mps, facendo crescere il valore del titolo, come accaduto durante il rally da poco interrotto e che invece era solo una corsa alla ricopertura? Cassa depositi e prestiti è in qualche modo presente in questo scenario di garanzia per Mps e per gli acquisti sui suoi titoli?
Sono solo domande, non illazioni, quindi delle risposte sarebbero gradite. Sono quasi certo che qualche altro contrattino, da qui al voto politico di febbraio, potrebbe saltare fuori. Anche perché, come vi ho detto, ci sono anche implicazioni estere in questa serie di coincidenze fortuite attorno a Rocca Salimbeni. Primo, i due giorni di tracollo in Borsa di Mps – ieri sospesa, altra assoluta coincidenza prima di un’assemblea dei soci per decidere un aumento di capitale – ha trascinato al ribasso l’intero comparto, in un momento in cui già tutto il settore capitalizza noccioline rispetto ai partner esteri, gli ispettori del Fmi vengono a fare le pulci ai nostri istituti di credito e l’Abi è senza presidente, perché costretto a dimettersi per uno swap di troppo. Certamente di Mps non frega nulla a nessuno all’estero, è una faccenda finanziaria-politica tutta italiana e tutta targata Pd, ma di qualche altro istituto più grande la cui capitalizzazione di Borsa precipita e diventa un boccone prelibato quasi in saldo, magari sì.
Secondo, vedremo se le polemiche riguardo Mussari e lo swap finiranno per coinvolgere indirettamente anche i governatori che si sono succeduti a Bankitalia dall’epoca dei fatti a oggi, tra cui l’attuale governatore della Bce, Mario Draghi. E anche in questo caso, un Draghi indebolito e sotto scacco farebbe molto comodo alle mire egemoniche e anti-inflazionistiche della Bundesbank e dei suoi falchi, ma anche ad Angela Merkel, la quale da qui alle elezioni di settembre potrebbe incassare qualche vittoria di Pirro in sede di board, ammazzando un po’ ancora con l’austerity Grecia e Portogallo, tenendo la Spagna sulle corde, facendo fare profitti d’oro a Deutsche Bank e, soprattutto (visto lo schiaffone elettorale preso in Sassonia), facendo vedere ai tedeschi che lei sì che sa difendere i loro soldi in sede Ue dalle cicale del Mediterraneo.
Complottismo, lo so da solo ma guardate come un sito influente e strainformato come Zerohedge ieri dava la notizia: stranamente, la parte su Draghi che da Palazzo Koch avrebbe dovuto bloccare quegli swap spericolati è in grassetto. Solo coincidenze, ovviamente. La verità sta sui giornali. In rete girano solo coincidenze. Vi cito l’ultima. Prima dello swap con Nomura, Mps ne fece un altro tra il 2006 e il 2008 con Deutsche Bank denonimato “Santorini”, anche in questo caso avallato da Mussari: e chi passò da Mps a Deutsche Bank, dopo averci regalato delizie di finanza creativa come 4You e MyWay alla Banca del Salento? Il già citato De Bustis, poi dimessosi da Deutsche Bank Italia nel luglio 2008 per andare a Londra a fare da pontiere in un progetto con la finanza islamica, dopo aver reso possibili negli anni uno scandaloso aumento di capitale di Alitalia, la vendita di Wind agli egiziani da parte di Enel ed essere stato tirato in ballo nientemeno che da Ricucci nell’inchiesta sui “furbetti del quartierino”.
Coincidenze, appunto. L’unica certezza è che Mps non può fallire. Alla faccia delle regole di mercato, in Italia vigono le regole della politica.