Il nuovo Isee, meglio noto come riccometro, non piace alla Lombardia. L’indicatore della situazione economica equivalente, volto a verificare l’effettiva situazione reddituale e patrimoniale del contribuente, al fine di accedere, a condizioni agevolate, alle prestazioni sociali o ai servizi di pubblica utilità, è stato, per ora, bocciato dalla Regione. L’unica, tuttavia, che durante la Conferenza unificata ha deciso di non dare l’ok al Dpcm che riforma lo strumento. Si lavorerà per modificarlo. Se, entro il 23 febbraio, non si sarà trovata un’intesa, la palla passerà d’ufficio al Governo. Che sembra intenzionato ad approvarlo così com’è. Giancarlo Blangiardo, professore di Demografia presso l’Università Bicocca di Milano, ci spiega le ragioni dei lombardi.
Cosa ne pensa del nuovo “riccometro”?
Il principio, di per sé, è ovviamente condivisibile. Il tentativo di avere uno strumento in grado di commisurare le prestazioni sociali erogate alle effettive capacità dei soggetti beneficiari è positivo. Come sempre, tuttavia, in Italia si pone come sempre il problema della verifica concreta. L’obiettivo degli ultimi anni di ideare qualcosa che si approssimasse il più possibile alla realtà ha sempre scontato alcuni difetti di fondo.
Quali?
La base di partenza risulta sempre quella di natura fiscale. Ora, sappiamo perfettamente che le dichiarazioni dei redditi, sovente, per colpa o per errori di varia natura, spesso non sono veritiere. Contestualmente, si assume che chi comunica quanti appartamenti possiede, o di che rendite dispone, affermi la verità. Si ritiene, infatti, che la minaccia di accertamenti sia un deterrente sufficiente. Tutti sanno, invece, che tali accertamenti sono effettuati molto raramente. In sostanza, il sistema non è ancora in grado di definire chi è ricco e chi è povero.
Perché, in ogni caso, la Lombardia si è opposta all’ipotesi?
Teme il rischio di dover subire un’uniformità proveniente dall’alto. Mi spiego: il welfare copre tanti aspetti della vita delle persone. Modulare una proposta tecnica volta a stabilire chi ne abbia diritto e chi no, rappresenta anche un’azione di natura politica. Ora, la Lombardia, nel corso del tempo, ha espresso il desiderio legittimo di andare incontro a certe entità, quali l’istituto famigliare, ritenendolo particolarmente meritevole di tutela da parte della società e della politica.
Perché l’Isee dovrebbe mettere in discussione tutto questo?
E’ evidente che uniformare i criteri per erogare prestazioni sociali in nome di un principio che non tenga conto delle diverse sensibilità, può risultare invasivo nei confronti di una comunità politica che si è data delle regole indicando alcune priorità.
Qual è, in tal senso, la specificità lombarda?
La Lombardia, da parecchi anni, ha tenuto conto, seppure talvolta in maniera maldestra, della necessità di dare una mano alla famiglie con figli. Tradizionalmente, ha espresso sensibilità nei confronti di questi soggeti, ed è legittimo che continui a volerlo fare.
Concretamente, cos’ha fatto?
Ci sono stati degli intereventi sul piano della creazione, dell’educazione e del mantenimento delle famiglie: sono state effettuate delle operazioni volte ad aiutare i giovani a metter su la prima casa; sono stati destinati dei fondi ai nuovi nati e alla cura dei figli; e si è prodotta certa disponibilità a rendere accessibile il sistema scolastico secondo il principio della libera scelta.
(Paolo Nessi)