Inquieta che nella terza banca italiana, quando ancora siamo ben lungi dall’uscire dalla crisi, si sia provocato un dissesto di tali dimensioni. L’assemblea dei soci del Monte dei Paschi, intanto, ha sottoscritto un aumento di capitale da 6,5 miliardi di euro, due in più di quelli previsti. Serviranno per ripagare i Monti bond, quelli che potrebbero essere nuovamente emessi, e i relativi interessi. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Roberto Mazzotta, ex presidente della Banca popolare di Milano e presidente dell’Istituto don Luigi Sturzo.
Qual è il peccato originale?
L’elemento che ha determinato il maggiore squilibrio nei conti della banca è stato certamente l’acquisizione di Antonveneta ad un prezzo troppo elevato, superiore non solo all’effettiva valutazione, ma anche alla capacità di equilibrio finanziario di Mps.
Perché fu fatta un’operazione del genere?
L’acquisizione risale ad un periodo di crescita tumultuosa delle valutazioni dei valori delle aziende bancarie. Indubbiamente, sotto il condizionamento dell’euforia dei mercati, si produssero delle spinte per aumentare il prestigio del Monte dei Paschi, e per condurre il gruppo ai vertici del sistema bancario italiano.
Poi, cosa accadde?
Le minusvalenze iniziarono a emergere subito dopo l’acquisizione; si individuarono dei meccanismi che avrebbero consentito di occultare le perdite attraverso strumenti finanziari derivati, e spostamenti delle scadenze delle valutazioni dei portafogli: se le minusvalenze non fossero state occultate, sarebbe stato impossibile chiudere il bilancio in attivo e distribuire i dividendi tra gli azionisti.
Si parla di tangenti e malversazioni.
Guardando i dati, è possibile ricostruire la storia economia-finanziaria dell’operazione e comprendere gli errori che sono stati fatti. Gli elementi di natura giudiziaria saranno eventualmente riscontrati dalla magistratura. Se anche non ve ne fossero, ci ravviserebbero comunque responsabilità enormi: una gestione disastrosa, l’occultamento di dati di una società quotata in borsa, gravissime mancanze da parte delle autorità di controllo interne.
Non crede che l’intreccio tra politica e affari sia in buona parte causa di quanto accaduto?
Guardi, quando il mercato è euforico suggerisce comportamenti irrazionali. Può darsi che si riscontreranno motivi economici personali o la volontà di alcuni di aumentare il potere aziendale. Ma gli eventuali interessi politici, o l’ipotesi che qualcuno abbia cercato di prendere un po’ di voti nel padovano, rappresentano, tutto sommato, un peccato veniale rispetto a quelli mortali che sono stati compiuti.
Quali peccati mortali?
Il fatto che siano stati ingannati i mercati, gli azionisti e le autorità di controllo rappresenta un gravissimo vulnus al sistema. Ma ciò che conta ancora di più è che si è determinata una distruzione di ricchezza che graverà sulle spalle di tutto il mondo del risparmio italiano.
Che ripercussioni ci saranno?
Il sistema creditizio italiano, da anni, a causa della crisi, è in sofferenza. Le banche hanno enormi perdite di crediti, e problemi di adeguatezza patrimoniale. Dare l’impressione che nel nostro sistema possano accadere fatti del genere, getta un’ombra anche su chi si è comportato bene. In un momento di affaticamento oggettivo, le nostre banche rischiano di risultare agli occhi dei mercati insicure e prive di autorevolezza. Mettere in ginocchio la reputazione del nostro sistema bancario, diminuisce le nostre capacità di uscire dalla crisi.
Come se ne viene a capo?
Le ricapitalizzazioni bancarie, in momenti di crisi – come la storia insegna -, vanno fatte dagli Stati. Gli attuali strumenti di debito rappresentano dei palliativi. In accordo con le autorità europee, va seguito il metodo americano: il Tesoro Usa ha acquisito la proprietà delle banche in crisi, e oggi ne sta rivendendo sul mercato le azioni, guadagnandoci. Quindi, Mps va commissariato e nazionalizzato, attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale. Quando accadono questi disastri, vanno a casa gli amministratori e gli azionisti. Si salvano i depositanti e i clienti.
Usare risorse pubbliche implica il rischio di sforamento rispetto agli obiettivi legati al deficit.
Il problema non è solo italiano, ma anche spagnolo, francese e tedesco. Metà del sistema bancario europeo è sottocapitalizzato. L’Italia deve, quindi, iniziare a ragionare con gli altri Paesi per capire come usare il fondo Salva Stati. Siamo in una fase di restrizione del credito e, per uscire dalla crisi, una delle decisioni indispensabili consiste nella ricostruzione dei patrimoni bancari. Solo allora sarà possibile riprendere l’erogazione, avendo totalmente coperto le perdite determinate da anni di recessione. Il caso Mps è eclatante ed estremo, ma la situazione patrimoniale degli altri istituti, pur priva di elementi catastrofici, è preoccupante. Contestualmente, occorrerà procedere rapidamente all’unificazione della vigilanza bancaria.
(Paolo Nessi)