Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è sempre più nervoso. C’è di che capirlo: il “blame game”, il gioco del cerino acceso sul Montepaschi, rischia di bruciare parecchia della reputazione di Via Nazionale. E questo proprio quando si apre il cantiere dell’Unione bancaria che deve ricostruire la supervisione creditizia Ue fra Bce e authority nazionali. Non era mai capitato, in ogni caso, che un Tar del Lazio convocasse – d’urgenza e di sabato – il direttore generale a Palazzo Koch, Fabrizio Saccomanni, e il neo-promosso capo della vigilanza Adolfo Signorini, su istanza di un’associazione consumerista come il Codacons: su un tema sensibilissimo come i Monti-bond a soccorso statale del Monte .



E d’altronde fin dal primo giorno dell’“affaire Mps” Bankitalia è stata costretta a auto-infrangere la propria tradizione di autorevolezza, con una nota ufficiale in cui affermava di esser stata “ingannata” da Rocca Salimbeni. Lo ha notato – con prevedibile sobrietà – anche un commentatore mai sospettabile di malanimi nei confronti dei tecnocrati di Via Nazionale: Massimo Riva, ieri su Repubblica sotto il titolo “Quando la vigilanza è insufficiente”. «Bisogna riconoscere – ha scritto Riva, analista “ciampiano” per eccellenza – che anche le istituzioni statali non sono state all’altezza della situazione», ha detto tirando le somme dei rimpalli in pubblico fra “vigilanti” (Bankitalia e Tesoro: l’una custode del sistema creditizo, l’altro delle Fondazioni). Ma lo stesso Andrea Enria, presidente italiano dell’Eba, l’authority bancaria Ue, non ha potuto che certificare: «Noi avevamo le informazioni che ci forniva Bankitalia». Oggettivo, burocratico, ma alla fine sgradevole per Visco. Il quale – comprensibilmente – in una tempestiva conversazione con Repubblica – si difende contrattaccando, chiedendo più poteri.



Tuttavia la memoria – soprattutto quella dei “media” tradizionali – non può essere cosi corta da non ricordare che meno di dieci anni fa, nel 2005, il predecessore di Visco, Mario Draghi, fu insediato a forza da un coro di voci (pilotato anche da Repubblica) che sollecitò e ottenne la testa di Antonio Fazio e una riforma della vigilanza. E il capo d’accusa nei confronti del Governatore di allora era il presunto eccesso di poteri nell’esercizio della sua funzione di vigilante bancario. Fazio, ad esempio, l’AntonVeneta all’Abn Amro non voleva darla: in barba a quello che volevano i mercati. Gli stessi che, due anni dopo, avevano già redatto il certificato di morte della stessa Bnl e “offrono” al sistema-Italia di ricomprarsela. Naturalmente con debito margine.



Il “caso Mps” nasce allora. E Visco – che allora era Chief Statistical Officer dell’Ocse – non se ne occupò affatto. È ovvio che il suo “top job” attuale – al vertice di Bankitalia – gli impone di assumersi responsabilità istituzionali non proprie. Ed è naturale che non ci stia a passare per un complice ingenuo e sempliciotto del (presunto, cosiddetto) “mariuolo” Giuseppe Mussari. E può essere perfino salutare “alzare il livello del dibattito”: rileggere chi ha scritto (o detto o fatto) cosa e come quando AntonVeneta era al centro dello scacchiere fra Abn Amro e Popolare di Lodi e Bnl fra Unipol e Bbva.