Pochi commentatori economici del nostro Paese hanno analizzato l’impatto sull’Europa e sull’Italia dell’accordo raggiunto tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 tra Casa Bianca e Congresso. The Economist in edicola dal 4 gennaio ha parlato di “pateracchio all’europea”, poiché mette pezze qua e là ai conti degli Stati Uniti ma non ne affronta i problemi strutturali – proprio come fanno da anni i Ministri europei alla guida dell’eurozona. Più utile il saggio pubblicato il 5 gennaio da Matt Welch sul periodico della Reason Foundation, una fondazione apartitica ma di impronta libertaria. Il saggio chiama il giorno in cui è stato concluso l’accordo il Fiscal Irresponsibility Day e sostiene che “Washington si arrabatta su intese tutte dirette a nascondere la realtà”.



Il saggio contiene alcuni dati quantitativi (da fare accapponare la pelle) sui rischi di breve periodo: non raggiunto un accordo su una strategia diretta a ridurre la spesa e il debito pubblico nei giorni scorsi, cosa assicura che ci si arriverà nelle prossime settimane? E se, come è probabile, non lo si raggiunge, cosà avverrà ai mercati finanziari e all’economia reale?



Secondo Matt Welch, è verosimile un crollo di Wall Street a fronte della probabilità dell’insolvenza degli Stati Uniti sul proprio debito sovrano e del probabile mutamento di indirizzo della Cina e di alcuni Stati petroliferi che sinora con partite finanziarie (in gran misura acquisto di titoli del Tesoro Usa) hanno permesso a Washington di “trascurare” un disavanzo dei conti con l’estero di 500 miliardi di dollari l’anno.

Welch è, ovviamente, opinionated, ossia, nonostante non appartenga a uno schieramento partitico ben definito, ha una forte matrice libertaria. Di conseguenza, il suo saggio propone una strategia drastica di riduzione della spesa e liberalizzazione dell’economia per fare sì che gli Usa tornino a essere la locomotiva mondiale. In quest’ottica, sostiene che il Congresso non dovrebbe autorizzare un aumento del debito e dell’indebitamento: si arriverebbe al momento della verità.



Quando si verificherebbe tale momento? C’è una data precisa su cui occorre, anche a casa nostra, focalizzarsi: il 28 febbraio – quando in Italia si avranno i risultati delle elezioni. In mancanza di un accordo solido e di lungo periodo, il primo marzo entrerebbero automaticamente in vigori tagli drastici di spesa, specialmente a quella militare. Non solo: il primo settembre, quando in Italia si dovrà cominciare a preparare la Legge di stabilità per il 2014, verrebbero automaticamente sospesi i sussidi al settore lattiero-caseario, una delle lobby meglio organizzate e più rumorose degli Stati Uniti. Infine, il primo gennaio 2014 verrebbero a terminare numerosi “incentivi” (leggi “aiuti”) al manifatturiero (specie ai produttori di auto – che se ne pensa a Torino, oltre che a Detroit?).

Pochi si sono soffermati su questi aspetti specifici dell’accordo di Capodanno: sono norme di legge che l’Esecutivo ha dovuto ingoiare per portare a casa otto settimane in più per giungere a una strategia penalizzante proprio nei confronti di chi ha portato Obama a essere per la seconda volta l’inquilino della Casa Bianca.

L’economia Usa ora avanza a un tasso del 2% l’anno. Se questo scenario si verifica potrebbe scivolare a crescita zero o anche sottozero entro la primavera avanzata. Attenzione: l’area a rischio non è l’export italiano negli Usa (24 miliardi di euro su 360 in totale), concentrato in pelletteria e gioielleria. Ma l’ondata di tensioni finanziarie che dagli Stati Uniti si riverserà nel mondo proprio mentre in Italia, anche nell’ipotesi che le elezioni parlamentari diano risultati chiari su possibili strutture di Governo, si sarà alle prese con le elezioni di Presidenti di Camera e Senato, di Presidenti delle Commissioni, nonché con le trattative per l’elezione del Capo dello Stato – non nella situazione migliore per assumere decisioni spedite e ben ponderate.

Non sono prospettive allegre. Mi si accuserà di essere una Cassandra. Omero documenta che la principessa troiana aveva ragione.