Alitalia, per ora, e per poco, è salva. Il Cda ha approvato la soluzione-ponte per salvarla dal fallimento definitivo. Ci sarà una nuova ricapitalizzazione (a cui darà il via libera definitivo l’assemblea di lunedì) da 300 milioni di euro, necessari per consentire la sopravvivenza dell’azienda e la realizzazione del nuovo piano industriale. 75 di questi verranno messi sul piatto da Poste italiane, che entrerà così a far parte della proprietà della compagnia. Abbiamo chiesto un parere a Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano ed esperto di trasporti.
Come valuta l’ingresso di Poste Italiane in Alitalia?
Le Poste non si sono mai occupate d’aerei. Non si capisce, quindi, perché dovrebbero iniziare a farlo adesso con successo.
Dicono che ha avuto degli ottimi manager che hanno saputo procedere a efficaci ristrutturazioni aziendali.
Il successo di Poste italiane si può definire tale esclusivamente nel settore bancario-assicurativo. Ha potuto fare concorrenza a banche e assicurazioni semplicemente perché, evidentemente, disponeva già di una capillare struttura territoriale. Gli uffici postali, infatti, sono ovunque. Inoltre, ha goduto di un costo del lavoro relativamente basso. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il core-business, ovvero il servizio postale, è tutt’altro che apprezzabile. D’altra parte, i due manager che l’hanno ristrutturata, Passera e Sarmi, provenivano dal settore bancario e telecomunicativo.
Sarmi ha giurato che non saranno usati i soldi dei cittadini.
Quel che conta, in questa vicenda, è che un’azienda pubblica è – come io amo definirla – un’impresa formalmente di proprietà dallo Stato, controllata dai sindacati e pagata dai cittadini. In tal caso, quindi, si effettua un’operazione tra due entità governate dal medesimo soggetto economico: il sindacato, appunto.
In ogni caso, che effetti sortirà la ricapitalizzazione?
Alitalia, presumibilmente, continuerà a perdere. E tra pochi mesi sarà necessario ricapitalizzare per l’ennesima volta. Non vi è ombra, infatti, di un serio piano industriale.
Cosa ne pensa dell’ipotesi, che pare ormai scartata, di un bond emesso da Alitalia e sottoscritto dal governo?
È peggio dell’aiuto pubblico. Se lo Stato presta dei soldi, infatti, può metter naso nella gestione. L’obbligazione, invece, rende l’azienda libera di continuare a fare ciò che vuole senza rendere conto a nessuno. Salvo il fatto che, se fallisce, lo Stato ci rimette i soldi con i quali ha sottoscritto il bond e pure gli interessi.
L’Ue ha fatto sapere che eventuali aiuti pubblici possono essere erogati solo se vengono rispettate le norme comunitarie sui salvataggi e sulle ristrutturazioni.
Guardi, è accettabile che lo Stato metta dei soldi in aziende private esclusivamente in un’ottica di investimento. Ovvero, se crede che possa guadagnarci. Se la prospettiva è di perderci, si tratta di una manipolazione del mercato.
Sarebbe stato meglio se Air France fosse diventata l’azionista di maggioranza?
Indubbiamente. Tuttavia, le principali resistenze vengono proprio dall’Italia. Non di certo dalla politica, che sarebbe ben contenta di liberarsi del problema. Ma dai sindacati. Che con una proprietà straniera non potrebbero più controllare l’evoluzione delle carriere, le retribuzioni e via dicendo.
Non crede che Air France potrebbe favorire il proprio turismo, danneggiando il nostro?
Non direi. Quando saliamo su un taxi, ci viene chiesto dove vogliamo andare. Non veniamo trasportati contro la nostra volontà. È la domanda che fa il mercato, non l’offerta.
Con quale obiettivo, invece, gli altri azionisti dovrebbero ricapitalizzare?
Di sicuro, non si aspettano profitti da Alitalia. È, invece, verosimile che, essendo tutti soggetti economici che hanno già affari con lo Stato, in termini di concessioni, si attendano favori extra-aziendali.
(Paolo Nessi)