Era una sfida difficile, quasi temeraria, ma aveva qualche possibilità di successo. Peccato che i “patrioti”, forse per eccesso di buonismo, se la sono giocata malissimo. È la vicenda di Alitalia, arrivata ormai all’ultimo giro in condizioni imbarazzanti. Un’ultima trasfusione di liquidità, un SOS alle ubbidienti Poste italiane travestito da opportunità industriale, e tra pochi mesi di nuovo l’alternativa secca: fallimento o svendita ad Air France. È questo lo scenario che tracciano gli addetti ai lavori. E che getta ingiustamente una luce di discredito sul tentativo di salvataggio che nel 2008 venne operato dal governo Berlusconi con la partecipazione determinante di Banca Intesa e del suo allora capo Corrado Passera.
Oggi Alitalia ha un miliardo di debiti e perde denaro, senza apparente possibilità di inversione di tendenza. Non ha un solido traffico sulle redditizie rotte internazionali, mentre sul raggio breve e medio compete per un buon 60% del mercato con Ryanair ed Easyjet, due colossi del low-cost, che lavorano a prezzi stracciati. Sulla storica roccaforte della Milano-Roma è stata di fatto battuta dalle Fs, e dunque non potrà che utilizzare i 500 milioni di euro faticosissimamente racimolati tra i contributi delle Poste e delle banche per restituire alla compagnia continuità aziendale e “farsi bella” per le nozze con i francesi. Sempre ammesso e non concesso che Air France continui a “dire sì”. Anche la compagnia parigina, infatti, ha i suoi problemi: ancora perdite, altri 2000 posti da tagliare… Non comprerà Alitalia “a qualunque costo”, ma si accinge a raccoglierne i cocci.
Alternative? Gli arabi di Etihad? Certo, una compagnia ricca, che però ha appena acquistato in India un’azienda come Jet Airways, la prima privata del Paese, più grande di Alitalia, e non è detto che voglia disperdersi in ulteriori diversificazioni: tutt’altro. Senza contare che la prelazione di Air France non è ancora scaduta.
L’implosione dell’ex compagnia di bandiera italiana è tuttora una di quelle notizie da prima pagina in tutto il mondo. L’Italia resta al primo posto tra le mete turistiche sognate dagli stranieri, che non ci si possa più arrivare su velivoli tricolori colpisce negativamente la fantasia. Ma d’altronde, è così. La sfida del 2008 è stata gestita male, con troppo buonismo. Alitalia aveva ottenuto quanto mai nessun’altra compagnia era riuscita a ottenere, cioè 4 miliardi di debiti abbuonati e migliaia di esuberi assorbiti, la Commissione europea autorizzò quel salvataggio pubblico – congiuntamente a quello della greca Olympic Airways – a condizione che fosse l’ultimo strappo alla regola. Non a caso il ricorso della British Airways contro l’eventualità che l’avvento in Alitalia del socio-Poste sia “un aiuto di Stato” ha buone chance di successo.
Ebbene, su queste premesse Alitalia avrebbe dovuto imperniare una ristrutturazione radicale, che trasformasse tutta l’attività nazionale in low-cost, concentrando i velivoli più adatti, e i servizi migliori, sulle tratte internazionali e soprattutto intercontinentali ad alto valore aggiunto. C’è un coefficiente, quello del costo per sedile disponibile, che per Easyjet e Ryanair è di 3-4 centesimi di dollaro, mentre per Alitalia di almeno otto volte superiore. Il divario tra i costi di produzione e ricavi era ed è enorme. Non a caso, tra il 2008 e oggi, le altre grandi compagnie tradizionali hanno cambiato pelle. Lufthansa ha derubricato i voli nazionali passandoli alla sua low cost German Wings. Klm ha fatto lo stesso con Transavia, la stessa Air France nel 2011 con Hop. Iberia e British hanno comprato una compagnia low cost che si chiama Vueling.
Ma per Alitalia, dal 2009 in poi, adeguarsi a questa realtà avrebbe comportato ulteriori tagli, sindacalmente improponibili, e anche politicamente indigesti visto che avrebbero avuto l’effetto di ridimensionare la portata sociale del “salvataggio” appena effettuato.
L’avvitamento di Alitalia va contestualizzato, inoltre, nei cinque anni peggiori della storia dell’aerotrasporto mondiale. Nel 2013, il settore fatturerà circa 700 miliardi per fare appena 12,6 miliardi di utili, pari a un margine irrisorio dell’ 1,8%. Le banche internazionali esitano prima di finanziare un sistema che considerano bollito. Il carburante assorbe da solo il 30% dei costi… Chi ci si infila, è un kamikaze. Tra “addetti ai lavori” circolano ormai delle battute: “Ma chi di noi dovrebbe entrare in Alitalia, visto che in cinque anni con Air France non ha combinato niente?”. “Se proponessi l’operazione al mio board, mi licenzierebbero subito”.
Eppure… eppure la speranza nel “miracolo” resta. È riuscito alla Swiss, la compagnia elvetica nata dalle ceneri della vecchia Swissair, fallita, che ha saputo raggiungere il break-even e da quella posizione negoziare onorevolmente la fusione con Lufthansa, di cui oggi rappresenta la principale fonte di utile avendo conservati livrea e nome autonomi. Bello: ma quelli sono svizzeri.