“Protezionismo industriale” è l’accusa che viene mossa al governo Letta dal Financial Times sulla vicenda Alitalia. Mentre a Roma è in corso l’assemblea dei soci chiamata a varare l’aumento di capitale di 300 milioni deciso dal Cda l’11 ottobre, in Europa c’è malcontento per l’operazione Poste, con la quale il governo ha inteso assicurare la sopravvivenza finanziaria della compagnia. “Quella su Alitalia è un’operazione per arrivare a negoziare la fusione con un partner internazionale in condizione di spuntare risultati positivi”, rispondono da Palazzo Chigi.
Nella giornata di ieri è stata British Airways a chiedere l’intervento della Commissione europea per sospendere un aiuto illegale che, secondo la compagnia britannica, viola la concorrenza comunitaria. “Solo dopo la notifica delle misure adottate saremo in grado di valutare la loro compatibilità con le norme Ue sugli aiuti di Stato” ha replicato da Bruxelles il commissario Ue alla concorrenza Joacquin Almunia.
Sugli aiuti di Stato, in attesa di capire le decisioni del Cda e di conoscere le intenzioni di Air France, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi respinge le accuse. “Noi intendiamo innanzitutto trattare in ottica strategica un asset fondamentale per lo sviluppo del paese” dice Lupi a ilsussidiario.net. “Non siamo intervenuti direttamente, ma come un facilitatore e un moltiplicatore di risorse”.
Ministro Lupi, dopo l’operazione Poste abbiamo le carte in regola per trattare alla pari con Air France?
Noi intendiamo innanzitutto trattare in ottica strategica un asset fondamentale per lo sviluppo del paese. Ciò ha significato, per cominciare, evitare la procedura fallimentare della legge Marzano – questo sì che sarebbe costato un sacco di soldi allo Stato -, favorire un’operazione industriale basata sulla convenienza dei privati a investire in Alitalia, e individuare un partner industriale come Poste che fosse un moltiplicatore delle sinergie industriali.
Non sono aiuti di Stato?
No, perché non è stato messo un solo euro dei contribuenti. Abbiamo ritenuto che, trattandosi di un settore strategico come quello del trasporto aereo, lo Stato dovesse fare la sua parte, intervenendo non direttamente, ma come un facilitatore e un moltiplicatore di risorse. Vedendo in Poste la possibilità di una sinergia industriale, l’abbiamo esplorata. Poste non mette le mani nelle tasche degli italiani, guadagna un miliardo di euro l’anno, investe 500 milioni l’anno in sviluppo e strategie industriali e ha un ottimo manager. Mi sembra un intervento sussidiario e intelligente. Altri interventi che avrebbero rifatto di Alitalia un’azienda pubblica sarebbero stati sbagliati.
E adesso?
Adesso spetta ai soci privati capire come recuperare le perdite, tagliare i costi e rilanciare un nuovo piano industriale. Questo ci permetterà, se verrà presentato un piano industriale serio e di discontinuità, di verificare alleanze forti e di poter discutere a pari dignità con Air France se dovesse sottoscrivere, come ci auguriamo, l’aumento di capitale; o se così non fosse, di individuare un altro partner.
Air France ha detto sì all’aumento di capitale ma comincia a fare molti distinguo…
Il dato di fatto è che sottoscrivendo la ricapitalizzazione Air France dimostra che intende continuare a investire in Alitalia. Per mantenere il suo 25 per cento di quote sociali deve partecipare alla ricapitalizzazione con 75 milioni di euro. Già questo vuol dire che non può pensare di prendersi Alitalia a costo zero, ma continuare a lavorare investendo seriamente. Se Air France non dovesse sottoscrivere l’aumento di capitale, scenderebbe all’11 per cento e quindi libererebbe la possibilità di interlocuzioni internazionali diverse.
Qual è il suo auspicio?
Io mi auguro, a nome del governo, che la collaborazione con Air France possa continuare, ad una condizione: che non si pensi ad Alitalia come una filiale regionale della compagnia francese.