«Il taglio del cuneo fiscale previsto dalla legge di stabilità non darà un impulso significativo alle imprese italiane. Da un lato, non basterà a rilanciare la domanda, ma soltanto a ridurre il costo dell’offerta. Dall’altro, anche se nel nostro Paese ripartissero i consumi, ciò avverrebbe a beneficio delle aziende tedesche che dopo l’introduzione dell’euro si trovano a essere avvantaggiate». A sottolinearlo è Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, commentando uno dei punti principali della legge di stabilità varata ieri dal Consiglio dei ministri.
Professor Bagnai, partiamo da una valutazione complessiva su questa legge di stabilità. Lei che idea si è fatto?
Tutte le manovre che i governi hanno proposto negli ultimi anni, e non mi riferisco soltanto all’attuale esecutivo, hanno un problema di partenza.
Quale?
Si delinea un quadro tendenziale, facendo previsioni sulla crescita del Pil, quindi si individuano i capitoli di spesa pubblica a legislazione vigente, per poi determinare gli interventi. Ci si dimentica però sempre di calcolare gli effetti di questi interventi sul Pil. Il quadro programmatico è sempre valutato sul Pil tendenziale, quello cioè che si avrebbe in assenza di interventi. E la conseguenza è che i risultati sono sempre deludenti rispetto alle previsioni.
In questo caso gli interventi previsti dalla legge di stabilità faranno aumentare o diminuire il Pil?
In linea di principio abbassando il costo del lavoro, il taglio del cuneo fiscale dovrebbe favorire nuove assunzioni e quindi rilanciare l’economia. Ciò vale però solo dal lato dell’offerta. L’imprenditore se vuole offrire di più può farlo perché ha costi più contenuti. Il punto però è che l’Italia sta attraversando una grave crisi della domanda interna, che è stata indotta dall’esterno attraverso un cambio sopravvalutato. Una riforma che prevede di destinare pochi miliardi di euro al taglio del cuneo fiscale non produrrà quindi particolari risultati.
Che cosa ne pensa invece dell’introduzione della Trise?
È stato semplicemente cambiato nome all’Imu. Eppure il governo pretende di essere applaudito, perché vuole farci credere che questo risponderebbe a dei criteri di equità fiscale. Il sistema Paese però è in condizioni di profonda sofferenza, e per rilanciare la crescita c’è solo una cosa da fare: evitare di strozzare la nostra economia sotto un cambio unico. La conseguenza è che il governo non può fare altro che cambiare nome alle imposte. Il carico fiscale non può diminuire se la crescita non riparte seriamente.
Si può dire anche il contrario, e cioè che la crescita non può ripartire se il carico fiscale non diminuisce?
Sì, ma esiste un problema strutturale che si tende spesso a dimenticare. Se con una bacchetta magica facessimo crescere l’Italia al 3%, questo aumento dei redditi si tradurrebbe in nuove spese da parte dei cittadini e delle imprese. Allo stato attuale però queste spese si rivolgerebbero prevalentemente a beni prodotti all’estero. Il cambio è infatti sfavorevole rispetto ai nostri partner commerciali dell’Eurozona, verso cui si dirige circa il 50% del nostro interscambio. Se le famiglie italiane fossero più ricche, comprerebbero più latte bavarese e non più latte lombardo o campano.
Può spiegare meglio perché?
I prodotti tedeschi sono più convenienti perché sono espressi in euro e non nella valuta Deutsche Mark, che in realtà è l’unica che rifletterebbe davvero i fondamentali dell’economia della Germania. Una Golf tedesca acquistata in marchi sarebbe infatti del 30% più costosa, ma con l’euro diventa più conveniente della Fiat.
E quindi?
Anche nell’ipotesi, di per sé inverosimile, di una ripresa della domanda interna, ciò ci riporterebbe in una situazione di crescita dell’indebitamento estero, creando nuove tensioni sui mercati. Il problema di fondo da non dimenticare alla fine rimane lo stesso, e da questo problema non si riesce purtroppo a scappare. Anche se per farlo dimenticare si usano diverse armi di “distrazione di massa”.
A che cosa si riferisce?
L’intero dibattito su indulto e amnistia parte dalla scoperta dell’acqua calda, e cioè che le carceri italiane sono indegne di un Paese civile. Trovo curioso però che se ne parli proprio nel momento in cui bisogna prendere delle scelte molto dolorose sotto il profilo economico. È evidente che il vero scopo è distrarre l’attenzione degli italiani.
(Pietro Vernizzi)