“I capitani coraggiosi in Alitalia hanno fatto un disastro che mi sembra evidente”. A lanciare il duro j’accuse è stato ieri Romano Prodi, il cui Governo nel 2007 aveva di fatto raggiunto un accordo con Air France-Klm per la cessione della nostra compagnia di bandiera. L’ex presidente del Consiglio ritiene quindi l’ex azionariato di Alitalia responsabile del grande flop. Ricordiamo qualche numero di Alitalia: 3,6 miliardi di fatturato, 600 milioni di perdite solo negli ultimi 18 mesi e 1138 milioni dalla “ripartenza” del Piano Fenice, 12mila dipendenti, 24 milioni di passeggeri. Non è d’accordo con questa lettura Pietro Ichino, Senatore per Scelta Civica, la cui puntuale analisi del caso Alitalia (diffusa in alcuni suoi editoriali) è stata alla base dell’alterco Fazio-Brunetta a Che tempo che fa: «Come si fa ad addebitare delle colpe ai poveri capitani coraggiosi della Cai, che non avevano mai fatto volare un aereo?», dice a ilsussidiario.net. Le responsabilità vanno quindi ricercate altrove e, secondo Ichino, sono da dividersi tra Berlusconi e i sindacati, che nel 2008 «si sono fatti sponda a vicenda per far saltare l’accordo con Air France-Klm». Ecco perché Alitalia non va tenuta in vita a ogni costo, anche perché – secondo il Senatore – l’intervento delle Poste «serve soltanto a salvare il vecchio imprenditore, limitando le sue perdite a spese della collettività». 

Parafrasando il suo editoriale, cosa ci induce a pensare che un vettore aereo italiano meno efficiente giovi al nostro sistema economico più di quanto gioverebbe lasciare spazio nei nostri aeroporti a vettori stranieri efficienti?

La domanda che pongo con quel mio editoriale è retorica. Infatti, nessuno ha potuto rispondere a quella domanda. Salvo sostenere che dobbiamo evitare contraccolpi negativi sul nostro hub di Fiumicino. Ma è tutto da dimostrare che lo si difenda meglio continuando a tenere in vita Alitalia con la respirazione bocca a bocca. C’è anche chi sostiene che, nel 2008, sarebbe stato possibile difendere anche lo hub di Malpensa, lasciando che lo occupasse Lufthansa, e negoziando con Air France-KLM alcuni impegni a vantaggio di Fiumicino. Non so se questo sarebbe stato effettivamente possibile; ma è certo che, con la nostra miope difesa della “cordata” voluta da Silvio Berlusconi, stiamo rischiando di pregiudicare il futuro sia di Malpensa, che ha già perso molto, sia di Fiumicino.

Quello di Poste italiane è effettivamente, come sostiene British Airways, un “aiuto di Stato”?

Sul piano giuridico, soprattutto se si tiene conto dell’orientamento molto sostanzialistico della Corte di Giustizia di Lussemburgo su questa materia, mi sembra difficile negarlo. Vero è che i vertici dell’Ue non sono mai stati particolarmente rigorosi nell’applicazione del divieto degli aiuti di Stato nei confronti di Alitalia; ma proprio per questo rischiamo che ora l’Ue sia più severa di quanto sia stata in passato.

Qual è la cosa migliore oggi: lasciar fallire l’impresa, sperare che la compri Air France-Klm o altre soluzioni?

Non c’è soltanto la procedura fallimentare per gestire il trasferimento di un’azienda di queste dimensioni a un nuovo imprenditore senza interruzione della sua attività. La cosa importante, però, sarebbe che questo trasferimento avvenisse rapidamente, anche eventualmente attraverso una fase molto breve di nazionalizzazione, con azzeramento del capitale investito dai vecchi soci ed estromissione del vecchio management.

 

Lei ha recentemente scritto che 5 anni fa il rifiuto dell’offerta Air France-Klm ci è costato almeno quattro miliardi e mezzo. Il Senatore Brunetta, e non solo lui, risponde che si tratta di un calcolo sbagliato. Qual è la situazione reale di Alitalia e quali sono le responsabilità della politica?

Ho risposto pubblicamente a Brunetta chiedendogli di spiegare a me e agli spettatori di Che tempo che fa dove sarebbe il mio errore di calcolo. Poiché fin qui non mi ha risposto, e non voglio accusarlo di mentire deliberatamente, devo concluderne che sia lui a non conoscere le cose di cui parla. Quanto alla responsabilità politica dell’aver strappato la tela tessuta pazientemente e sapientemente da Tommaso Padoa Schioppa nel 2007-2008 per la fusione con Air France-Klm – primo vettore aereo mondiale – chiunque abbia seguito la vicenda sa che questa responsabilità va paritariamente divisa tra i sindacati e Silvio Berlusconi.

 

Perché?

Nel marzo 2008, prima che il Cavaliere mettesse – come si suol dire – i piedi nel piatto avvertendo che dopo le elezioni si sarebbe incaricato comunque di far saltare l’accordo per difendere l’“italianità” di Alitalia, i sindacati avevano già steso i loro cavalli di frisia ponendo condizioni che Spinetta, l’AD della compagnia franco-olandese, non avrebbe mai accettato. È il vero caso di dire che sindacati e Berlusconi si sono fatti sponda a vicenda. Non era, del resto, la prima volta che si manifestava una ostilità bi-partisan nei confronti dell’investimento di una multinazionale straniera su di una nostra azienda.

 

Lei si è battuto per la fine del monopolio pubblico dei Servizi pubblici per l’impiego seguendo i principi europei di libero mercato. Cosa pensa di questa modalità di salvataggio-“aiuto di Stato”?

Si sarà capito che ne penso molto male.

 

(Giuseppe Sabella)

 

In collaborazione con www.think-in.it