I giornali hanno molti problemi. Fra questi, in primissima fila in ordine di importanza, viene la foliazione: per ragioni storiche che risalgono all’epoca in cui erano straordinari raccoglitori di remunerativa pubblicità, hanno tante, tantissime, troppe pagine. Che vanno riempite e non sempre si hanno lì sottomano le notizie necessarie alla bisogna. Questa lunga premessa per dire che anche la vicenda Telecom, per essere tenuta mediaticamente in vita, necessita di qualche novità. In mancanza, la si inventa in modo da poter confezionare comunque un titolo su un pezzo di quattro-cinque colonne.



È stato fatto anche ieri quando un autorevole foglio nazionale ha scritto quanto segue: César Alierta, capo di Telefonica, neo padrone di Telecom Italia in seguito al defilarsi degli azionisti-patrioti italiani, non ha il minimo interesse per l’Italia e il suo mercato. Ora che controlla la società fino a ieri presieduta da Franco Bernabè vuole semplicemente mettere la mani sul vero tesoretto che contiene, vale a dire Tim Brasile: un operatore assai redditizio in quanto presente su un mercato in fortissima crescita.



Il problema è che Telefonica è già massicciamente presente nel Paese sudamericano e le autorità locali non permetterebbero un’ulteriore crescita in nome dell’antitrust. Ed è vero. Ma ogni guaio ha una via d’uscita. Nel caso in questione Alierta dividerebbe Tim Brasile in tre. Una parte la darebbe all’America Movil del messicano Carlos Slim, un’altra alla brasiliana Oi e la terza se le terrebbe lui centrando così l’obiettivo cui puntava: rafforzarsi in Brasile senza infrangere le regole antitrust. Fatto questo si libererebbe dell’inutile Telecom Italia, un pachiderma gravato da 36 miliardi di debiti che oltretutto deve sorbirsi le seccature di sindacati e politici sempre tra i piedi ad avanzare pretese insulse.



Un quadretto perfetto. Ma la domanda è: chi si prenderebbe Telecom Italia post-spezzatino in salsa Alierta? Se è vero – e probabilmente lo è – che l’unico reale valore della compagnia telefonica è dato proprio dalla controllata brasiliana, allora la sua vendita frutterebbe pochi soldi. Si dirà che Alierta e Telefonica non hanno pagato cifre astronomiche per ottenere il controllo dei telefoni italiani, e anche questo è vero: ma siamo comunque nell’ordine di miliardi di euro.

Tornerebbero a casa nell’ipotesi di una futura vendita? E può Telefonica, che non è in condizioni finanziarie invidiabili avendo sulle spalle un debito di 60 miliardi di euro, incassare una minusvalenza (e una figuraccia) con la sua campagna d’Italia? Difficile rispondere di sì. Comunque si tratta di un buon argomento per una pagina di un quotidiano. E i quotidiani, pur avendo tanti problemi, hanno anche una fortuna: durano un giorno soltanto.