Due scenari per il salvataggio di Alitalia senza fare del nostro Paese la Cenerentola dei trasporti aerei. Il primo prevede una vendita di tutte le quote della compagnia italiana ad Air France, che a quel punto avrebbe ogni interesse a investire sui voli a lungo raggio Malpensa e Fiumicino. Il secondo è dividere in due Alitalia, cedendo i voli intercontinentali a una compagnia araba come Etihad o Emirates e quelli europei a EasyJet. A formulare le due proposte è Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca. Giovedì Alexandre de Juniac, amministratore delegato del gruppo Air France/Klm, che detiene il 25% di Alitalia, ha dichiarato di essere disposto a una sua ricapitalizzazione soltanto a condizione di una riorganizzazione severa e di una ristrutturazione del debito.
Perché ci converrebbe vendere ai francesi che minacciano lacrime e sangue?
Le minacce non nascono da rivalità fini a se stesse, ma dall’assetto azionario di Alitalia. Con la sua partecipazione al 25% Air France non è un azionista di controllo, bensì – se mi passa il gioco di parole – un azionista di maggioranza relativa che diventa di minoranza assoluta. Non può cioè dettare le scelte, ma è in grado di bloccare quelle degli altri. Alitalia, insomma, non cresce perché i francesi non sono nelle condizioni per predisporre un piano d’impresa. Anche ammesso che gli altri soci riescano a trovare i fondi per i voli di lungo raggio, Air France può opporsi. Non si comprende quindi con quale funzione i francesi restino dentro alla compagnia italiana.
In che modo Air France può trasformarsi da un problema a un’opportunità?
Se Air France crescesse fino a possedere tutta Alitalia, a quel punto diventerebbe suo interesse investire nella compagnia italiana e scommettere sui voli a lungo raggio dal nostro Paese.
Ad Air France non converrebbe di più riempire i voli intercontinentali da Parigi con i passeggeri italiani?
Da un punto di vista economico ciò non avrebbe senso. Un volo a lungo raggio prevede un decollo e un atterraggio a distanza di molti chilometri, e voli in buona parte a diecimila metri d’altezza. La conseguenza è che si ottiene un basso consumo di carburante: in proporzione ai chilometri i voli intercontinentali hanno un costo tra il 30% e il 40% rispetto ai voli a breve raggio.
E quindi?
Quindi conviene prevedere dei voli diretti che partano da Milano e Roma con destinazione New York o Brasilia. Mentre lo stesso volo con scalo a Parigi risulta molto più costoso. Il sistema hub and spoke, che consiste nel concentrare i decolli internazionali negli aeroporti più importanti, conviene soltanto se si raccolgono persone da molte piccole città. Non funziona invece facendo convergere su Parigi un mercato con molta domanda come quello italiano. Il vero problema, però, è che non è particolarmente vantaggioso cedere oggi ai francesi dopo averli rifiutati nel 2008.
Quali alternative rimangono?
In un’ottica di trasporti aerei italiani, cioè in un’ottica di mercato più che di compagnia, sarebbe meglio dividere Alitalia in due. I voli a lungo raggio potrebbero essere venduti a una compagnia mediorientale come Etihad o Emirates, mentre il medio-breve termine potrebbe essere ceduto a un vettore low-cost non spinto come EasyJet. Se quest’ultimo fosse disposto a prendersi la parte europea di Alitalia e le rotte intercontinentali andassero agli arabi, si tratterebbe della soluzione ottimale per il mercato italiano e per lo sviluppo dei nostri traffici. In questo modo si ottimizzerebbero le possibilità di vendere Alitalia per una cifra importante anziché svenderla.
Cioè si aumenterebbe il valore della compagnia?
Sì. Un operatore mediorientale non sarebbe infatti interessato a gestire di persona i voli italiani di breve raggio, se non nella misura in cui ciò può aiutare il sistema hub and spoke. Si tratta infatti di voli sui quali si rischia di perderci. A quel punto però non avrebbe senso lasciare ad Air France solo i nostri voli a breve raggio. In questo caso occorrerebbe puntare sulla specializzazione facendo entrare un vettore “forte” sul breve raggio come un low cost.
(Pietro Vernizzi)