«L’Italia non rischia un commissariamento dall’oggi al domani, anche nell’ipotesi di una rapida crisi di governo, ma sta creando le premesse che spingeranno gradualmente il nostro sistema economico e finanziario verso il disastro. La mancanza di credibilità politica del nostro Paese farà sì che i titoli di Stato dovranno essere quasi interamente acquistati dalle banche italiane, cui non resterà più quasi nulla da prestare alle imprese per rilanciare il sistema produttivo». A sottolinearlo è il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, dopo che il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, martedì ha dichiarato: “Mi auguro che tutta questa instabilità politica non porti a una precettazione da parte dell’Europa e a una gestione commissariale”.



L’Italia rischia davvero il commissariamento per la mancata presentazione della legge di stabilità?

No. Anche con lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate, resterebbe comunque in carica un governo per svolgere le attività di ordinaria amministrazione. In tal caso l’Italia dovrebbe comunque presentare un progetto finanziario che contempli un rapporto deficit/Pil al di sotto del 3%. Il consiglio dei ministri di transizione approverebbe una legge di stabilità, la più semplice possibile, con l’unico scopo di rispettare il tetto del deficit. Al contrario un governo in carica sarebbe in grado di presentare una legge di stabilità che oltre a correggere il possibile disavanzo, introdurrebbe una serie di interventi strutturali.

Quali altre conseguenze economiche sarebbero provocate da una crisi di governo?

La vera questione di fondo è che un governo dotato di pieni poteri potrebbe contrattare condizioni migliori con l’Europa. In Italia un rapporto deficit/Pil al 3,1% ha subito fato scattare la massima allerta, mentre il ministero del Tesoro di Madrid ha fatto tranquillamente presente che nel periodo gennaio-luglio la Spagna è già arrivata al 5,7%. L’impegno assunto dalla Spagna con Bruxelles è quello di non superare il 6,5% entro fine anno, ma molto probabilmente di qui a dicembre arriverà all’8,5-9%. L’Eurogruppo ha inoltre erogato 100 miliardi per salvare le banche iberiche, mentre sarebbe bastato che i governi Monti o Letta chiedessero 20 miliardi per l’Italia ma non lo hanno fatto.

Perché il governo italiano non è riuscito in questa operazione?

Anche i conti pubblici del nostro Paese, per quanto complicati, si potrebbero presentare in modo diverso. Ciò di cui ha bisogno l’Italia è un governo che abbia la forza per respingere le critiche europee e criticare gli altri. Il nostro problema non è il rapporto deficit/Pil, che in Italia è ben al di sotto di quelli di Spagna, Francia e Paesi Bassi, né il debito, che è inferiore a quello della Germania. Il vero problema è il deficit politico della nostra classe dirigente.

 

Quali effetti avrà sulle banche italiane l’attuale situazione politica?

Dopo anni di crescita delle sofferenze e di rovesci sulle Borse, giustamente o ingiustamente le banche italiane sono state punite anche sul mercato. I loro portafogli si stanno impoverendo perché contengono troppi titoli pubblici. Agli inizi della crisi le banche italiane erano tra le più forti del Pianeta, e ora si trovano fortemente ridimensionate e non sono più in grado di erogare credito perché prima di tutto devono salvare i loro bilanci e i patrimoni dei risparmiatori. La conseguenza è che il credito non affluisce alle imprese, e questo è un problema enorme che richiederebbe già da solo, ancora di più della questione di Alitalia e Telecom, di avere un governo in carica nel pieno dei suoi poteri che risolva i problemi.

 

Come valuta invece le ricadute per i nostri titoli di Stato?

All’Italia entro la fine dell’anno restano da sottoscrivere poche decine di miliardi di titoli di Stato, su cui in caso di crisi finiremmo per pagare interessi ben più elevati. L’anno prossimo però avremo aste di titoli di Stato da 350/400 miliardi di euro che dovranno essere rifinanziati, e un investitore internazionale non si sente certo rassicurato e incoraggiato a investire in Italia. Ciò vorrà dire che alla fine questi titoli di Stato dovremo comprarceli tutti noi, appesantendo così ancora di più le nostre banche. Il disastro non si verificherà quindi dall’oggi al domani, ma si creano le premesse perché il disastro avvenga più avanti.

 

Secondo lei, di chi è la responsabilità della situazione che si è determinata?

Anche nell’ipotesi in cui Berlusconi sia davvero accusato ingiustamente per crimini che non ha mai commesso, se fosse davvero uno statista si dimetterebbe nell’interesse degli italiani. In questo modo otterrebbe molti più consensi, anche se non guiderà più il suo partito, soltanto per il bel gesto compiuto. Invece il fatto di essersi impuntato sta portando l’Italia sull’orlo del baratro economico-finanziario. Gran parte dello stesso elettorato berlusconiano si aspetta dal Cavaliere un gesto di saggezza.

 

(Pietro Vernizzi)