Il Congresso americano non ha trovato l’accordo sul nuovo tetto del debito facendo mancare così il finanziamento della macchina statale. Ciò ha provocato lo “shutdown”, ovvero la chiusura di interi settori della Pubblica amministrazione, tra cui musei, sportelli, parchi, e rischia di lasciare senza stipendio circa 800mila lavoratori. Per gli americani non si tratta tuttavia di una situazione nuova: in passato si è verificata altre volte, quando l’inquilino della Casa Bianca era un Democratico e una delle camere era controllata dagli avversari Repubblicani. E sempre a poca distanza dalle elezioni di midterm. La mancata intesa è dipesa, ancora una volta, dalla riforma sanitaria di Obama che continua a far discutere. Il Presidente, in risposta, ha parlato di un durissimo colpo alla ripresa economica Usa e mondiale, “il peggiore dalla Seconda guerra mondiale”. A Ugo Bertone, giornalista economico, abbiamo chiesto di ricostruire quello che è successo a Washington nei giorni scorsi.
Come funziona il meccanismo dello shutdown?
È una legge abbastanza curiosa, che ha pochi paralleli nel resto del mondo. In pratica si stabilisce un tetto alle emissioni del Tesoro. La cosa in genere passa inosservata, perché è automatico che nuove emissioni di dollari siano state autorizzate. Come è normale che i soldi che vengono emessi lo siano a fronte di leggi che il Parlamento ha approvato: il Parlamento approva le leggi, approva le spese e, a questo punto, è normale che approvi anche gli strumenti per finanziarle. Però…
Però?
In diverse occasioni è successo che il partito che ha il controllo di una camera – ed è diverso da quello del Presidente – si fa prendere la mano e utilizza la sua posizione come arma di pressione nei confronti della Presidenza. Succede sempre quando un ramo del parlamento è controllato dai Repubblicani e il Presidente è un Democratico. Non si è mai verificato l’inverso.
Perché secondo lei?
Sarebbe abbastanza bizzarro che i Democratici intervenissero per bloccare leggi di spesa che servono a garantire il pagamento degli stipendi piuttosto che a dotare le varie agenzie governative di mezzi per i mutui o per l’assistenza sociale. In più…
In più?
Non a caso è successo a pochi mesi dalle elezioni di midterm. Ed è successo quando all’interno del Parlamento hanno preso il sopravvento i “falchi”. Era successo anche nel ‘96, sotto la presidenza Clinton e la cosa portò bene ai Repubblicani per le elezioni di metà mandato. Sembra quasi una riedizione del conflitto falchi-colombe della destra italiana.
In che senso scusi?
Sostanzialmente accade la stessa cosa che sta succedendo da noi. A Washington c’è un’ala tra virgolette moderata che non vuol perdere la leadership del partito e si confronta con quella dei “falchi”, divenuta nel frattempo maggioritaria. Quest’ultima è quella del Tea party che la settimana scorsa si è esibita in un’azione di filibustering, inscenando una maratona oratoria di 27 ore. E suscitando, come unico dibattito, l’interrogativo sul fatto che l’oratore avesse o meno il catetere, non essendosi mai allontanato dal microfono per tutto quel tempo.
Cos’ha ottenuto il Tea party?
Hanno preso la mano allo speaker della Camera dei rappresentanti, John Boehner, che è un Repubblicano relativamente più moderato, il quale ha avuto paura di essere spodestato e messo in minoranza a pochissimi mesi dalle elezioni e quindi non ha opposto resistenza.
Lì c’è stata la rottura?
A un certo punto del dibattito è uscita a maggioranza la proposta di budget avanzata dai Repubblicani. In pratica hanno detto: caro Presidente, ti diamo i soldi provvisori, diciamo fino a metà novembre, il tempo necessario per discutere meglio e agganciare lo shutdown al nuovo budget federale, il nuovo tetto da votare; tu, in cambio, rinunci a far partire la tua riforma sanitaria fino alla fine del 2014. In pratica, permettici di andar a votare alle elezioni di midterm dopo averti inflitto una pesantissima sconfitta politica, raccontando al nostro elettorato: guardate, questo Presidente lo abbiamo in pugno noi.
E i Democratici hanno risposto picche, votando contro. È così?
Obama e i Democratici hanno risposto un no secco. Forti del fatto che l’opinione pubblica americana questa volta si è spostata sui Democratici. Le elezioni dell’anno scorso hanno dimostrato che il Paese in questo momento pende più verso la soluzione proposta da parte Obama che dalla parte di un taglio secco della spesa. Sono cose difficili da capire in chiave europea.
A cosa si riferisce?
Per noi è difficile capire che ci sia una robusta diffidenza nei confronti di una riforma sanitaria che offre l’assistenza gratuita a tutti. Dai sondaggi emerge che la maggioranza degli americani è comunque perplessa, teme un’esplosione della spesa. È preoccupata, come lo siamo noi, del fatto che la dinamica demografica comporterà forti revisioni della previdenza nei prossimi anni. Però in questo momento non è la priorità maggiormente avvertita.
Qual è la preoccupazione maggiormente avvertita negli Stai Uniti?
Il premio Nobel Paul Krugman ha iniziato provocatoriamente un suo pezzo dicendo: la maggior parte degli americani, anche quelli di buona cultura, alla domanda il debito pubblico sta crescendo? risponderebbero: sì, sta crescendo. Perché la disinformazione è massima. In realtà il debito pubblico americano sta scendendo molto rapidamente. Probabilmente troppo.
Cosa significa?
È da mesi che è stata data una stretta alla spesa pubblica, adesso siamo arrivati a quella finale, la più draconiana e drastica. Da nove mesi, ormai, una parte dei dipendenti pubblici americani è assunta a termine, part-time, è stata rimandata a casa con la promessa di essere riassunta dopo un mese, per un mese, o per 15 giorni. E questo ha creato notevolissimi disagi presso la popolazione.
Quanto ha pesato sull’economia Usa?
Pare che questo giochetto abbia pesato sul Pil americano per almeno un punto, un punto e mezzo, rallentando la crescita. Crescita che è intorno al 2%, mentre sarebbe dovuta essere almeno sopra il 3%. Ha pesato anche su un certo tipo di importazioni. Oggi vanno bene quelle dei beni di lusso. Ma c’è una grossa fetta della società americana che non sta meglio del 2007. Anzi, sta decisamente peggio. E soprattutto non vede una prospettiva di grande ripresa. Questo spiega anche un altro fatto.
Quale?
Il vero motivo per cui la Federal Reserve ha evitato una manovra che forse cominciava a essere giustificata, quella del “tapering”, era per non aggiungere una nuova stretta a un’altra stretta che stava arrivando. Di cui credo se ne parlerà un pochino più avanti.
Quello che è successo negli Stati Uniti con lo shutdown avrà strascichi qui da noi? Ci saranno ripercussioni sulla timida ripresa che comincia a vedersi in Europa?
In questo momento la situazione interna americana gioca contro la ripresa generale. In prospettiva, segnali di fiducia nella ripresa sono abbastanza diffusi nel nostro continente. Quanto possano incidere sulla realtà italiana, dipende moltissimo da noi. E noi, in questo momento stiamo dando il peggio. Non è un caso che nelle ultime due settimane ci sia stata una ripresa ben più significativa in Spagna e in Grecia. Due paesi che stanno lentamente accorciando il loro distacco. Noi invece lo stiamo aumentando.