L’operazione di salvataggio di Alitalia è ben lungi dall’essere risolutiva e definitiva. La manovra di 500 milioni di euro (300 di aumento di capitale) è stata deliberata dall’assemblea dei soci che, tuttavia, si sono presi un mese di tempo per aderirvi. Se tutto andrà a buon fine, in ogni caso, si tratterà di misura tampone. È opinione condivisa che l’azienda sia priva e resterà priva di un piano industriale credibile. Quindi, continuerà a perdere, e quando quei 500 milioni saranno stati tutti spesi, la compagnia sarà al punto di partenza. E la voragine da 1 miliardo e 300 mila euro si sarà, presumibilmente, ampliata. A complicare la situazione è intervenuta Air France. Che, a quanto svela un retroscena pubblicato da Il Messaggero, avrebbe votato contro il recupero delle perdite. Abbiano fatto il punto sulla situazione con Marco Ponti, professore di Economia applicata al Politecnico di Milano.
Air France potrebbe voler far fallire Alitalia?
Le imprese fanno i propri interessi. Devono farlo. È una delle regole del capitalismo. Gli imprenditori devono privilegiare i propri azionisti. Attendersi atteggiamenti compassionevoli per ragioni benefiche è assurdo. Del resto, chi investirebbe, oggi, i suoi risparmi in Alitalia? Insomma, non possiamo pretendere che gli imprenditori siano “tigri vegetariane”. Neanche i capitani coraggiosi hanno mai fatto beneficienza. È evidente, quindi, che per Air France sia più ragionevole acquistare Alitalia da fallita. La pagherebbe molto meno.
Votare contro il recupero delle perdite è sufficiente per farla fallire?
Il quadro finanziario è tutt’altro che chiaro. L’Ad, infatti, ha fatto sapere che i conti sono molto peggiori di quanto ci si possa aspettare.
Il fallimento, in ogni caso, cosa comporterebbe?
Non di certo effetti disastrosi. Anzitutto, non implica, la cessazione dei servizi: il mercato dei viaggiatori continuerà a esistere, e qualcuno dovrà ben rispondere alla domanda; non comporta neppure il licenziamento dei lavoratori. Che, già adesso, dispongono oltretutto di meccanismi di protezione superiori a quelli di qualunque altra categoria. Per intenderci: 7 anni di cassa integrazione, credo che non siano mai stati concessi a nessuno al mondo.
Il nuovo acquirente dovrebbe accollarsi una marea di debiti. È proprio sicuro che ci sarà qualcuno che acquisterà l’azienda e che nel frattempo le sue attività non cesseranno?
Nelle procedure fallimentari, di norma, si incarica un commissario di verificare i crediti privilegiati che, solitamente, sono quelli dei lavoratori e, a seguire, quelli dei fornitori e degli azionisti. Le attività, con l’accordo dei creditori, continuano. Solo se continuano, infatti, i creditori hanno più probabilità di vedere i propri soldi.
Air France potrebbe aver votato contro il recupero delle perdite ma, tra un mese, sottoscrivere l’aumento di capitale?
Un’impresa, in questi casi, può fare quello che gli pare e piace.
A che condizioni potrebbe sottoscrivere?
Se resta in piedi l’opzione di acquisto di Alitalia da parte di Air France, allora Air France pretenderà di scrivere il piano industriale. Non avrebbe alcun senso che il compratore attendesse il piano industriale di chi ha fatto fallire l’impresa.
Cosa potrebbe prevedere il piano industriale?
Un drastico ridimensionamento delle rotte. Alitalia, infatti, perde. Ma non ovunque. Si taglieranno quelle attività effettivamente indifendibili.
Cosa ne pensa dell’entrata nella proprietà di Poste italiane?
È l’aspetto più intollerabile di tutta la vicenda. È stato affermato che si è trattato di una libera scelta dell’azienda. E che l’operazione non è stata effettuata con i soldi degli italiani. Ma chi ci crede? Per sostenere questa tesi rispetto a un’azienda che è interamente nelle mani dello Stato, ci vuole un coraggio da leoni.
(Paolo Nessi)