La Bce si è espressa. Saranno 15 le banche italiane che finiranno sotto la lente dell’Eurotower nell’ambito della revisione della qualità degli attivi che l’istituto guidato da Mario Draghi compirà nel 2014, in vista di assumere la supervisione unica bancaria e che riguarderà in totale 124 istituti dell’eurozona. Il nome esotico è “asset quality review”, nella sostanza si traduce in un anno di controlli – terminerà infatti nel novembre 2014 – su tre livelli: valutazione del rischio, verifica della qualità degli asset e stress test. È probabile che, tra le banche europee, diverse dovranno ricorrere a uno o più aumenti di capitale e questo ieri è bastato per affondare l’intero comparto a Piazza Affari, ma anche sui listini spagnolo e francese. Su questo fronte, infatti, proprio la Bce ha ricordato come dall’inizio della crisi finanziaria globale gli istituti di credito dell’Eurozona abbiano aumentato il patrimonio di circa 225 miliardi di capitale fresco, a cui vanno a sommarsi 275 miliardi iniettati dai governi: qualcosa come oltre il 5% del Pil dell’eurozona. Tra i requisiti richiesti, forse il più temuto, anche un “cuscinetto” di capitale pari all’8%, ovvero la ratio Core Tier 1 che sale dal 7% all’8% per le banche più grandi.
Fin qui la cronaca ufficiale, ma la storia ci ha insegnato due cose: primo, negli stress test del luglio 2010 le banche greche e spagnole risultavano ben capitalizzate e promosse. Sappiamo tutti come sia andata a finire la faccenda. Secondo, la realtà non è mai come sembra. Non è infatti il nodo capitalizzazione a turbare i sonni di Draghi, a scuotere i mercati e a far impennare lo spread, visto che ieri il nostro differenziale è rimasto inchiodato a quota 231 punti base, nonostante le nostre banche siano strapiene di titoli di Stato che potrebbero dover scaricare per rimettere a posto i bilanci da mostrare agli ispettori della Bce. Sintomo, quest’ultimo, che il nodo dell’asset quality review è solo un falso problema, un obbligo burocratico, una formalità che si potrà aggirare, non foss’altro per l’arco temporale in cui si compirà. Ciò che fa paura è quanto vi dico da settimane e settimane parlando di banche e che si condensa in una lettera di Mario Draghi al Commissario europeo per la Concorrenza, Joaquin Almunia del 30 luglio scorso e che siamo in grado di mostrarvi (in ultima pagina).
Come vedete, ci sono delle parti sottolineate, quelle sono il nodo reale del problema bancario europeo: ovvero, da un lato la volontà e necessità da parte di Bce e grandi gruppi bancari europei di giungere all’Unione bancaria e dall’altro il no tedesco a questa ipotesi, dando vita a modelli alternativi per quanto riguarda ricapitalizzazioni e salvataggi. Draghi lo dice chiaramente ad Almunia nella lettera: la tentazione di haircuts punitivi o peggio un assalto in piena regola al debito junior di una banca potrebbe portare «a una fuga degli investitori del mercato bancario europeo». Insomma, il nodo è altro: la volontà di qualcuno di giungere a una conversione forzata del debito subordinato in ciò che viene definito nelle consorterie europee «ricapitalizzazioni precauzionarie».
Il primo a denunciare questa tentazione folle fu l’ex membro della Bce, Lorenzo Bini-Smaghi, non a caso autore di un libro esplosivo passato sotto totale silenzio mediatico e riparato negli Stati Uniti, dove si gode la sua autorevole cattedra universitaria e guarda con distaccato imbarazzo a quella che lui ritiene potrebbe essere una riedizione della “passeggiata sulla spiaggia” di Deauville, quando Angela Merkel e Nicolas Sarkozy decisero di infliggere perdite ai detentori di bond greci (in aperta contraddizione con quanto sempre ripetuto, ovvero che non si sarebbe mai percorsa quella strada), scelta che scoperchiò il vaso di Pandora del mercato obbligazionario sovrano dell’eurozona, con conseguenze che noi italiani ricordiamo davvero molto bene. Ma c’è di più in questa lettera esplosiva. Draghi dice chiaramente ad Almunia che il totem degli aiuti di Stato deve cadere per quanto riguarda il sistema bancario, prevedendo che gli stress test del prossimo anno degenereranno in un fiasco o peggio se i leader dell’Ue non porranno in essere «credibili backstops pubblici» per intervenire nei casi in cui non ci sia sufficiente denaro da investitori privati per ricapitalizzare le banche.
Insomma, porte aperte a nazionalizzazioni più o meno dirette e di grande entità: non so perché ma questa clamorosa apertura di Draghi, che ovviamente in Germania vedranno come il fumo negli occhi (dimenticando i salvataggi di Stato di Landesbanken e Commerzbank), mi pare la conferma più clamorosa di quanto stia per accadere al Monte dei Paschi. Per Draghi, «un’interpretazione impropriamente restrittiva delle regole sugli aiuti di Stato potrebbe facilmente distruggere la fiducia nella banche dell’eurozona che invece intendiamo restaurare». Di più: «Per queste ragioni siamo convinti che in certe situazioni l’aiuto di Stato dovrebbe essere possibile per ricapitalizzazioni precauzionarie, senza ricorrere a una conversione forzata del debito subordinato».
E quanto la situazione si stia facendo drammatica ce lo confermano le parole sempre più nette del capo della Bundesbank, Jens Weidmann e del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, riguardo il fatto che le ricapitalizzazioni bancarie non dovranno più pesare sugli Stati ma sui contribuenti, sul modello cipriota, toccando non solo detentori di debito junior ma anche azionisti e correntisti. Insomma, si sta giocando con il fuoco e Draghi lo sa. Alla fine del 2012, Standard&Poor’s stimava che le banche europee avessero un gap di finanziamento di circa 1,3 triliardi di euro, nonostante le aste Ltro e la continua liquidità immessa dalla Bce attraverso l’ampliamento della platea di collaterale eligibile per operazioni di finanziamento. D’altronde, è difficile capitalizzare ed erogare credito a imprese e famiglie, quando quei soldi servono per comprare debito sovrano e mantenere basso lo spread e calmi i mercati: Draghi non può agire come Bernanke o come Carney, deve inventarsi partite di giro invece che comprare quel debito direttamente e iniettare liquidità nel sistema. E con le sofferenze bancarie spagnole e italiane a livelli sempre più preoccupanti, o la Germania capisce che tenere l’eurozona insieme con lo scotch costa denaro, oppure ci si sieda a un tavolo e si ridiscuta l’intera idea di eurozona e di Ue.
Entro novembre nascerà la Grosse Koalition tra Cdu e Spd, quindi Berlino tornerà a picchiare duro: forte anche della sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe che ogni giorno da qui a fine anno potrà strozzare nella culla il programma Omt della Bce per acquistare debito sul mercato secondario. E senza il “bazooka” a disposizione, anche soltanto a livello dissuasivo, la speculazione partirà lancia in resta, il nostro spread potrebbe tornare a galoppare e le nostre banche scontare quel crollo dei prezzi sui titoli che detengono.
A quel punto, come si fa in vista degli stress test? Draghi lo sa, altrimenti uno come lui che arriva da Goldman Sachs e non dal Banco alimentare, non avrebbe mai scritto nero su bianco ad Almunia che nel caso di banche in crisi gli aiuti di Stato devono essere accettati e quasi previsti: «Nonostante noi speriamo che casi di ricapitalizzazione pubblica siano l’eccezione, allo stesso modo pensiamo che possano essere necessari». E conclude Draghi: «Mi preme puntualizzare come sia cruciale che questo argomento così complesso sia chiarito formalmente prima che abbiano inizio le supervisioni dei bilanci bancari». La lettera di Draghi era del 30 luglio: ci sarà stato questo chiarimento formale sull’argomento? Oppure no? E se sì, cosa si è deciso e a quale prezzo per gli Stati? Non si sa, questa è la trasparenza delle autorità europee rispetto ad argomenti di enorme e vitale interesse per i cittadini-contribuenti.
Certo, se Draghi avrà vinto la battaglia, prepariamoci a una sequela di emendamenti della Commissione Ue alla Legge di stabilità, una sorta di commissariamento che si renderà però inevitabile visto questo do ut des silenzioso: se vogliamo evitare casi ciprioti, dovremo sottostare a quanto Bruxelles vorrà da noi. Ma anche se sarà andata così, non illudiamoci troppo: la Germania sta per tornare sul campo di gioco, con formazione al completo e decisa a chiudere la partita una volta per tutte. In primo luogo, temo, proprio con Mario Draghi. Anche perché, parole in libertà a parte, è solo una la cosa che conta, come ci ricorda Neil Williamson, capo del centro ricerche sul credito per l’eurozona all’Aberdeen Asset Management: «Non importa quanto tu possa pensare che sia ben capitalizzata e promossa agli stress test la banca europea ABC, se pensi che l’obbligazionario sovrano avrà bisogno di un haircut in stile greco o che farà default, a quel punto quella banca è non-investibile sul mercato». Meditate.