Mercoledì sera, in un’intervista a Bloomberg television, Mario Draghi ha tenuto a precisare che “gli stress test sulle banche europee saranno seri. Per questo motivo è evidente che sarà necessario che molte banche non lo superino. Ne va della credibilità dell’esame”. Ma questa considerazione ne impone una seconda: chi pagherà le spese per le ripetizioni degli studenti rinviati a ottobre o, peggio, bocciati? È la domanda che Draghi avanza, con urgenza, ai capi di Stato europei che finora sono stati abbastanza reticenti. E la Germania di frau Merkel, impegnata nelle trattative per il nuovo governo, non sembra voler derogare al suo metodo: mai prendere decisioni in anticipo, semmai posticipare tutto fino all’ultimo momento per poi tirar fuori dal cilindro una soluzione in extremis, spesso la più confusa ma anche la più presentabile, causa l’urgenza, all’opinione pubblica tedesca.



Però stavolta, ammonisce Draghi, questo metodo rischia di esser suicida: gli ispettori della Bce devono poter fare il proprio lavoro con tranquillità, senza esser costretti da cause di forza maggiore a distribuire promozioni generose. Perciò regole chiare, subito. Anche così si può sottolineare l’importanza, finora sottovalutata, di quella che promette di essere la più importante e ambiziosa rivoluzione europea dai tempi dell’introduzione dell’euro.



Una rivoluzione, l’Unione Bancaria, che servirà proprio a rimuovere il principale handicap dell’unione monetaria che finora non è riuscita a dar vita a un’unione finanziaria. Come s’illudevano i padri della moneta unica e come sembrava possibile negli anni delle vacche “grasse”. Fino al 2007, infatti, è stato messo in atto un processo di unificazione finanziaria almeno a livello delle “banche all’ingrosso”, cioè gli istituti che prestano agli altri istituti. Fino al 2007 le banche tedesche e francesi hanno investito assai nella finanza del Sud Europa, fornendo alle casse spagnole la materia prima per il boom del mattone spagnolo. Poi, allo scoppio della crisi, questi capitali sono tornati all’ovile. E per il Sud Europa, Italia soprattutto, è iniziata una drammatica crisi di liquidità, cui si è fatto fronte solo con l’impegno diretto della Bce.



Ora le cose sembrano destinate a tornare alla normalità. Almeno all’apparenza. In realtà, i sistemi bancari sono troppo frammentati lungo le linee dei confini nazionali, ammonisce Mario Draghi, consapevole che, una volta ritirata la rete di protezione della Bce, si rischia di tornare alla situazione precedente. Il motivo? La mancanza di fiducia sulla solidità delle banche, specie quelle dell’Europa mediterranea. Di qui la necessità di un test severo, in grado di convincere i mercati. O, più ancora, la stessa Bce che dal novembre 2014 assumerà la supervisione sulle banche di sistema, 130 in tutto. Non è certo intenzione o interesse di Francoforte accollarsi il controllo di banche instabili. O, se preferite la metafora, di alunni impreparati.

L’operazione trasparenza sarà senz’altro la più imponente e ambiziosa della storia finanziaria mondiale. Nel 2009 la Fed passò ai raggi X 19 istituti Usa. La Bce dovrà esaminarne 130. La Fed disponeva di uno staff collaudato, strutture radicate in un secolo di storia, leggi e regole comuni per tutti. La Bce sta arruolando in questi giorni i mille ispettori, la metà in arrivo dalle varie banche centrali. Dovrà, con l’apporto dell’americana Oliver Wyman, inventarsi una metodologia e un’organizzazione comune, con l’obiettivo di affidare l’ispezione delle banche di un Paese a squadre miste di tecnici in arrivo dal altri paesi. Dovrà, come già sta facendo, individuare regole e metodi comuni, innovando in taluni casi prassi e teorie consolidate. Il tutto per portare a compimento, un processo in tre parti. Ovvero:

1) un Supervisory Risk Assessment, volto a definire il profilo di rischio dell’istituto sotto gli aspetti liquidità, leva e finanziamento.

2) una Asset Quality Review, volta a determinare la qualità degli attivi, armonizzando la classificazione dei non performing loans e misurando l’esposizione ai sovereigns.

3) uno Stress test, volto a valutare la capacità degli istituti di assorbire gli shock negativi.

L’esaminato, per superare le tre materie del test, dovrà disporre di una soglia minima di capitale pari all’8% (Tier 1). Tutto chiaro? Niente affatto!

Questa percentuale andrà calcolata in base ai nuovi pesi dati agli asset dalla Asset Quality Review che non sono ancora noti. In particolare, non si è ancora deciso come valutare in futuro i sovereigns, cioè Bot, Btp o i Bonos spagnoli, piuttosto che in Bund tedeschi. Oggi una banca che investe nel debito pubblico dell’area euro non è tenuta a fare accantonamenti a fronte di questi investimenti giudicati a rischio zero. Ma la realtà di questi anni ha dimostrato che il rischio esiste. Eccome. Anzi, incombe come una spada di Damocle sul sistema bancario italiano che, sotto la regia di Banca d’Italia, sta sottoponendo a una verifica severa gli impieghi senza tirarsi indietro di fronte alla crescita geometrica di incagli e sofferenze, nonostante un trattamento fiscale punitivo rispetto ai concorrenti. Ma questo sforzo, così come l’impegno a ricapitalizzare che ha svenato le fondazioni azioniste di Intesa e Unicredit (altre, vedi Mps, hanno dovuto abbassare la guardia), perde importanza di fronte al nodo dei titoli di Stato: 400 miliardi che giacciono nei forzieri dei nostri istituti. Come calcolarli? Quali accantonamenti saranno necessari per convincere le altre banche e/o gli investitori che il sistema italiano gode di buona salute? I conti sono presto fatti: accantonamenti pari al 5% equivalgono a un’iniezione di 20 miliardi.

Le banche, in realtà, hanno in pancia mezzi sufficienti per far fronte a questo impegno. Il discorso si fa più delicato, però, a fronte dell’esame sullo stress test. Che accadrà ai bilanci bancari se l’economia italiana, invece di tornare a crescere, continuerà a perder colpi come ormai capita da troppi anni? L’impegno teorico massimo, secondo il Fondo monetario internazionale, è di 125 miliardi. Una cifra limite, ma di cui si dovrà tener conto. Anche perché, problema dei problemi, va ancora definito nel dettaglio chi dovrà pagare per rafforzare le banche o riparare gli eventuali “buchi”.

Detto questo, guai a pensare all’operazione stress test come all’ultima angheria dell’Ue che ci costringerà probabilmente a rivedere gli assetti del mondo del credito, dalle Fondazioni ex bancarie alle Popolari, e ad accelerare innovazione e rivoluzioni organizzative all’insegna del profitto. Dobbiamo chiedere alla Bce di non ripetere gli errori dell’Eba che, imponendo aumenti di capitale in un momento di crisi di liquidità, peggiorò la situazione del sistema nel 2010/11. Draghi saprà essere “strabico” al punto giusto: flessibile e disponibile nel breve termine per consentire alle aziende di adeguarsi senza strappi alla nuova situazione. Ma altrettanto severo e rigido sulle regole da rispettare a medio-lungo termine. Nel nostro interesse. Perché nel presente banche che si fanno prestare soldi dalla Bce per comprare Btp che poi ripresentano come garanzia alla Bce, lucrando sul diverso interesse, non servono all’economia, ma, al contrario, assomigliano sempre più a zombie che stanno in piedi solo per garantire prebende e stipendi.

Per questo oggi, ancor più che in occasione dei precedenti interventi del presidente, ci dobbiamo affidare a Draghi, l’unico vero riformatore.