La Bce ha annunciato l’avvio dal prossimo novembre di un’indagine complessiva sullo stato di salute del sistema bancario europeo in vista dell’introduzione, dalla fine del prossimo anno, del Single supervisory mechanism (SSM), ovvero della vigilanza unificata. Lo scopo dell’indagine, conforme ai fini propri di un’autorità di vigilanza, è triplice e riguarda: la trasparenza dei bilanci bancari; la correzione di eventuali posizioni critiche; il rafforzamento della fiducia nella solidità delle strutture bancarie. L’indagine è rivolta a 128 banche di 18 paesi membri (15 banche italiane) che rappresentano l’85% degli attivi bancari dell’area e durerà un anno; riguarda in modo specifico i seguenti tre pilastri:



La definizione di una metrica europea dei rischi bancari, ivi compresi quelli relativi alla liquidità, al leverage e al funding, da valutare sotto i profili qualitativi e quantitativi. L’Eba (European banking authority) e le singole Banche centrali nazionali stanno procedendo alla definizione di un sistema armonizzato di “risk assessment”.



La definizione dei criteri per misurare la qualità degli attivi (Asset quality review – AQR); in particolare, criteri uniformi dovranno essere applicati sia alla valutazione dei cosiddetti “forbearance” e “non performing loans” (partite incagliate, prestiti ristrutturati, sofferenze), con connessa valutazione degli accantonamenti e dei collaterali posti a garanzia, sia alla valutazione dei titoli del debito sovrano, di quelli illiquidi (tossici) e dei derivati, al fine di armonizzare il complesso degli attivi ponderati per il rischio.

La verifica della tenuta dei bilanci bancari attraverso l’analisi degli stress test, ovvero l’impatto di fenomeni avversi e imprevisti, da realizzare in collegamento con l’Eba.



A fronte della valutazione degli attivi, come detto opportunamente e armonicamente ponderati per il rischio, viene inizialmente fissato un benchmark in termini di soglia minima di capitale primario (common equity tier 1) pari all’8%. Detto in altri termini, ciò significa che il capitale rappresentato dalle azioni ordinarie e dalle riserve di utili (primario, appunto), non potrà scendere al di sotto di quella soglia rispetto al complesso degli investimenti (prestiti e titoli, per semplificare) opportunamente ponderati per i rischi sottostanti (i valori considerati rispecchiano gli incassi effettivi attesi). Ai fini dello stress test, tuttavia, il capitale di riferimento sarà quello misurato alla fine del periodo di indagine (novembre 2014) per cui sul rispetto del coefficiente minimo potranno influire sia la dinamica delle voci patrimoniali considerate, sia i metodi di ponderazione dell’attivo!

L’annuncio della Bce rappresenta un passo decisivo verso la costruzione dell’Unione bancaria, poiché realizza, con l’esercizio della rassegna annunciata, il necessario “carotaggio” indispensabile per definire gli strumenti con i quali si realizzerà la vigilanza unificata: e cioè come misurare la qualità degli attivi bancari (partendo da situazioni nazionali affatto diverse) e come commisurare a essa il requisito patrimoniale più opportuno per assicurare la stabilità degli intermediari. Sinteticamente, a una prima analisi dei rischi (risk assessment), seguirà una valutazione degli attivi (prestiti e titoli, sovrani, corporate, ad alto rischio, valutati a prezzi di mercato – AQR) e poi l’analisi degli effetti di uno choc (stress test), per concludersi con una valutazione complessiva di ogni banca; ciò potrà comportare la necessità di aumentare le dotazioni di capitale o intraprendere azioni di risanamento, come la dismissione di attività in portafoglio.

Ai fini della valutazione degli effetti di questo annuncio bisogna tenere conto di questi due fattori: in primo luogo non si conoscono ancora nel dettaglio i criteri in base ai quali sarà realizzata questa attesa armonizzazione e dunque gli effetti sulla qualità degli attivi; in secondo luogo, il parametro di riferimento per giudicare il rispetto o meno del requisito patrimoniale minimo, sarà noto solo alla fine del periodo di indagine.

Detto questo, passiamo a una valutazione necessariamente di massima degli effetti che queste misure potranno generare sulle banche italiane. Va innanzitutto evidenziato che le regole di vigilanza in vigore nel nostro Paese sono già molto rigorose sotto molteplici aspetti: ad esempio, per quel che riguarda la qualità del credito, i cosiddetti forbearance e non performing loans sono da noi molto ben definiti e ponderati in termini di “assorbimento di capitale” (copertura dei crediti dubbi) a differenza di altri sistemi che non considerano deteriorati i crediti coperti da garanzia reale o quelli ristrutturati; e dunque, sotto questo importante profilo, credo che le banche italiane non abbiano nulla da temere; anzi, sarà l’occasione per confrontare con maggiore verosimiglianza realtà bancarie che paiono essere più solide della nostra solo per il fatto di avere regole più blande, che consentono di non considerare tutte le posizioni a rischio.

Resta tuttavia il fatto che le nostre banche registrano, per ragioni ben note legate alla lunga crisi finanziaria, crediti deteriorati molto elevati (300 miliardi secondo una stima di Banca d’Italia; il 14,2% dei crediti per le prime 5 banche italiane, secondo R&SMediobanca), a fronte dei quali vi sono accantonamenti che, evidentemente, deprimono la capacità di ampliare il credito e di sostenere, come doveroso, i territori di riferimento. Detto questo, non può certo essere di conforto vedere emergere in altri sistemi situazioni analoghe!

D’altra parte però, l’ampliamento e l’armonizzazione della base dell’attivo ponderato per il rischio (la nuova metrica del risk assessment), la leva finanziaria (il rapporto cioè fra totale attivo e patrimonio netto) e la valutazione a prezzi di mercato dei titoli tossici (quelli che hanno generato la crisi finanziaria), mentre non destano particolari problemi per le nostre banche, tradizionalmente rivolte all’attività di prestito (banche commerciali), genereranno certamente qualche difficoltà o preoccupazione nelle banche nordiche (tedesche, olandesi e francesi in particolare) che vedono la presenza di un’attività “finanziaria” più consistente (banche d’investimento).

Per quel che riguarda il possesso di titoli del debito sovrano, le banche italiane, che peraltro ne stanno riducendo l’ammontare, com’è noto, hanno già pagato il prezzo di una loro larga presenza nei rispettivi bilanci, quando, a seguito dello stress test condotto dall’Eba sul finire del 2011, dovettero sobbarcarsi una forte ricapitalizzazione, per via di una valutazione a prezzi di mercato che ha dovuto fare i conti con una crescita sproporzionata dello spread! Dovremmo avere imparato quel che bisogna fare per non sollecitare lo spread e va tenuto conto di ciò che l’Unione europea e, soprattutto, la Bce hanno fatto nel frattempo per superare le crisi del debito pubblico nei paesi a rischio. Credo che sotto questo profilo per la valutazione di questi titoli la Bce, a suo tempo, dovrà tenere conto di ciò che è successo e certamente anche della continuità nello sforzo di controllo della finanza pubblica che il nostro Paese riuscirà a dimostrare.

Venendo infine al rispetto del coefficiente patrimoniale minimo dell’8%, va osservato come già oggi la gran parte delle banche italiane registrano coefficienti mediamente superiori, in grado di assorbire dunque anche eventuali maggiori livelli che potrebbero scaturire da modifiche nell’applicazione delle ponderazioni suggerite dall’AQR. Questo non vuol dire che tutte le banche italiane siano esenti dal rischio di dover procedere ad aumenti di capitale: peraltro già nelle 15 banche selezionate per l’indagine in discorso, vi sono casi nei quali si registra un livello di requisito inferiore all’8% per le quali sono già in atto o allo studio i correttivi necessari.

Per concludere, non credo che la nuova normativa di vigilanza che entrerà in vigore dopo questo esercizio necessario per il “livellamento del campo di gioco” creerà particolari problemi alle nostre banche e ciò sia per una tradizione di maggiore rigore da parte della nostra Banca centrale, sia per il notevole sforzo già realizzato in seguito allo stress test dell’Eba di cui abbiamo detto sopra e sia, infine, perché c’è una crescente consapevolezza che bisogna operare facendo della leva patrimoniale una vera e propria leva strategica per una sana competizione: chi non sarà in grado di adoperarla dovrà assoggettarsi alle regole del mercato o sfruttare, ove siano state concepite e sostenibili, garanzie pubbliche di “backstop”.